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Luoghi: teatri
della mente
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Luoghi
dimenticati, sognati, idealizzati, inventati, mai visti.
Intrappolati nella tela dei ricordi.
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Luoghi vissuti,
riemersi sul filo della memoria. Luoghi sacri, teatrali,
privati.
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La storia è
colma di luoghi, dalla caverna preistorica alla moschea, dai
palazzi storici alle architetture dei giardini, dalle chiese
alle piazze barocche, dalle piramidi egizie e maya ai templi
occidentali e buddisti, ai custodi del sonno cinesi.
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Luoghi come
teorie, manipolazioni della realtà, descrizioni minuziose di
prospettive rinascimentali, di spazialità barocche, di luce
impressionista, di frantumazioni cubiste. Luoghi assoluti,
astratti, escheriani.
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Luoghi
metafisici stranianti, impossibili, di là dal tempo e dallo
spazio, visioni surreali dove il sogno in-contra la realtà.
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Luoghi-silenzio,
di opere d’arte, strappate al fare, conservate in statici
musei. Luoghi-evento, teatrali, rituali, spettacolarizzati
dall’uomo che recita se stesso mimando il gioco della vita.
Luoghi comuni, piazze, strade. Muri quotidiani fumettati da
Haring.
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Luoghi-caos
pervasi dal dinamismo futurista. Luoghi noti e sconosciuti.
Luoghi.
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La psicologia
topologica (dal greco topos – luogo) ha studiato a fondo
il significato del luogo inteso come spazio di relazione.
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La teoria
gestaltica ha dimostrato che gli individui hanno organizzato il
loro intorno secondo precise leggi strutturate, leggi percettive
di similarità, prossimità, continuità, delimitazione.
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Lewin ha
sostenuto la capacità dell’uomo di muoversi ed agire (da
soggetto attivo) nell’ambiente, deci- dendo liberamente, pur
condizionato dai modelli culturali specifici (le istituzioni).
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Walter Benjamin
ha riportato la nozione di spazio entro i limiti della
dialettica uomo-storia, affermando che, lunghi periodi storici e
dinamiche complesse di esistenza delle società hanno influenzato
la percezione umana sensoriale nei diversi territori.
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All’interno del
concetto di configurazione nella teoria gestaltica, Rudolph
Arnheim ha sostenuto che l’aspetto di un oggetto non è mai
soltanto determinato dall’immagine che colpisce direttamente il
nostro occhio (vedi la sfera che logicamente completa la forma
rotonda parzialmente visibile di fronte). In tale accezione, non
si vive una realtà parziale, ma completa. La forma dell’oggetto,
quindi, non sempre coincide con l’effettivo limite di un corpo
fisico.
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Edward T. Hall,
nell’opera La dimensione nascosta, analizzando i vari
comportamenti culturali dell’uomo nel loro complesso e
affrontando i modi di usare lo spazio e di attribuirgli un
significato, si è addentrato nel campo dell’arte considerandone
l’aspetto percettivo.
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In particolare
ha sottolineato il ruolo della pittura che, pur non potendo
riprodurre direttamente, ad esempio, il profumo di un frutto,
può evocare sensazioni simili attraverso segni rappresentativi
opportuna- mente selezionati.
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I pensieri di
Rudolph Arnheim e di Edward T. Hall pur divergenti sono
complementari in un punto e ci permettono di guardare
ancora più dentro il concetto di luogo inteso come sistema
relazionale e di cono- scenza spazio-temporale.
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L’artista, per
Hall ha il compito di aiutare il profano a mettere ordine nel
proprio universo culturale, a decifrare il fenomeno visivo, ma
lo fa (vedi Arnheim) secondo una suggestione sensoriale che non
sempre raffigura l’oggetto, le persone, e i luoghi in maniera
chiara e completa. In taluni casi può semplicemente evocarli o
descriverli in parte, citarli, trasfigurarli, e non per questo,
necessariamente, sono conosciuti dal-l’osservatore in maniera
incompleta.
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Una posizione
estrema è quella di Jackson Pollock, che ha sublimato il
concetto fisico del luogo, trasfe- rendolo sulla tela. Questa,
definita luogo degli eventi, si configura come forza
attiva e propulsiva, capace di generare sentimenti e passioni in
un moto dinamico irrefrenabile dove l’artista, in preda ad un
raptus creati- vo, e senza nulla di preordinato, sgocciola il
colore secondo l’input del dripping.
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L’opera d’arte,
non più elemento passivo, instaura un rapporto simbiotico con
l’artista concentrando su di essa l’universo delle esperienze
esaltanti o frustranti.
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Ma ci sono
altri luoghi, teatri della mente, che fanno parte
unicamente del nostro io, della nostra esperienza di vita, del
nostro modo di essere. Sono i luoghi della memoria, non
descritti da teorie o altro, ma dai sensi.
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I dodici
artisti presenti in questa mostra ripercorrono la strada della
loro vita attraverso ricordi di viaggi, profumi, materiali,
luoghi familiari, sogni, esperienze, introspezioni. Particelle
insostituibili del meccanismo cosmico, scrutano l’universo, lo
analizzano, restituendolo sotto forma d’impulsi linguistici e
strutturali.
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Le varie
tematiche proposte, si snodano così in tentativi di ricerca dove
il segno-parola, il segno-immagine e il
segno-struttura vengono esplorati attraverso forme e
contenuti, travalicando il senso della realtà descrit- ta.
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Gli schemi
compositivi che ne derivano risultano proiettati in canoni
evolutivi: nasce un vocabolario di sensi e d’intenti visivi che
sfiora e imbriglia la memoria, un gioco nel gioco di cui
l’artista, padrone della situazione, ne conosce le regole,
componendo e scomponendo il meccanismo imperfetto della realtà (artifex
ludens sicut dei).
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Fabrizio Costanzo
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Ciò che è noto, non è per
ciò stesso, conosciuto
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Hegel - Scienza della
logica
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Luoghi
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Quale che sia il
loro nome, i luoghi hanno molti nomi. Tanti, quante sono le
emozioni. Ci sono giorni felici, sospesi, in cui si offrono -
tela perfetta - per una narrazione sorprendente della nostra
anima. Mai indifferenti. Stazionano più spesso in un luminoso ed
intermittente oblio: gioco della mente, che mantiene viva
la sensazione che c’è sempre qualcosa d’altro, che non
avevamo visto, qualcosa che emergerà, all’improvviso. Per
sorprenderci. Nell’istante in cui cerchiamo di fermarli- in
un’immagine pittorica, scultorea, in un verso - sappiamo già che
in essi quel qualcosa non riusciremo, né vorremo
svelarlo. Per mantenerlo vivo. E chi, di contro, non ha
sperimentato la sensazione vivificante, del mostrare a
qualcuno un certo taglio di luci e d’ombre, sottili geometrie e
forze sottili, impresse in una scalinata, in un vicolo, e di
farlo come se quella scalinata, quel vicolo, ci appartenessero?
I luoghi sono lì, mappa oggettiva nel mondo, ma sono tanto più
nel nostro altrove, rigenerati nella memoria, vividi
nella nostra personale geografia. Saturi di vita, sono voragini
temporali, in cui, strato dopo strato, si depositano storie
gloriose ed infami: talune piccolissime, simili ad un quieto
borbottio, altre un lamentarsi, flebile e monotono. Altre sono
urlo, rombo di guerra, boato spettrale. Ogni attimo nascono
luoghi nei luoghi, una creazione spontanea ed inarrestabile.
Nell’accentrare e decentrare sguardi e slanci, generano un
movimento, un battito sonoro, il cui andamento sincopato ci
narra il nostro essere contemporanei, la nostra memoria del
mondo, la nostra responsabilità. Cercatori instancabili,
fabbricanti di luoghi, ci muoviamo dentro di essi quasi avessimo
una riserva di vita infinita, perché ad ogni passo epoche
e stagioni, passate e future, si muovono con noi. Perciò
dobbiamo dimenticarli, ogni tanto, renderli leggeri, affini alla
nostra curiosità, alla nostra natura incostante. E perchè non
diventino sinistramente commestibili dobbiamo sottrarli e
restituirli all’oblio senza mai perderne la Memoria.
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Andrea Greco
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