Presentazioni |
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PREMESSA
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Vogliamo ipotizzare il mare nel
futuro?
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Se davvero crediamo in esso come risorsa,
valore etico e principio estetico occorre modificare
cultura, stile di vita e politica. Il mare, con una
superficie più che doppia rispetto alle terre emerse
(trecentodieci milioni di chilometri quadrati – otto
volte quella della luna!), è un vero e proprio mondo
nascosto da esplorare, in cui la vegetazione acquatica e
la fauna marina - pesci, poriferi, conchiglie, coralli,
alghe ed altro – generano caleidoscopici giochi di
colore nelle infinite forme naturali.
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Peccato che ad una tale bellezza estetica
non corrisponda un’altrettanto stato di salute degli
ecosistemi acquatici mondiali che peggiora di giorno in
giorno. Il loro benessere ed il loro equilibrio
dipendono oggi da un concreto cambiamento culturale
basato sul concetto di sostenibilità il quale, non
compromettendo la possibilità delle future generazioni
di perdurare nello sviluppo, preserva la qualità e la
quantità del patrimonio e delle riserve naturali
esauribili.
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Il dibattito sulla globalizzazione ha
evidenziato, tra i tanti aspetti, le problematiche
legate all’ambiente e ad ogni tipo d’inquinamento,
frutto di modelli di sviluppo, produzione e consumo
affermatisi nei Paesi occidentali e da qui esportati
altrove.
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La concentrazione di gas serra - la
cui massiccia presenza sta portando ad un aumento della
temperatura – ha alterato in maniera determinante la
composizione dell’atmosfera terrestre implicando una
serie di cambiamenti climatici. Questi hanno influito
direttamente sugli ecosistemi, modificandone
sensibilmente le strategie di sopravvivenza degli
organismi, ampliandone o riducendone la biodiversità
propria di una determinata nicchia ecologica.
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Scioglimento dei ghiacciai,
innalzamento del livello medio degli oceani,
desertificazione, tropicalizzazione sono alcune delle
conseguenze che portano al surriscaldamento della terra.
I cambiamenti degli ecosistemi, a loro volta, sono causa
di alluvioni, frane, inondazioni, trombe d’aria,
cicloni, che possono provocare danni alle colture, agli
animali, alle infrastrutture, etc. E’ vero…le previsioni
sono catastrofiche ma non troppo lontane dalla realtà
visto che alcuni fenomeni si stanno già verificando con
intensità sempre maggiore.
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Il Protocollo di Kyoto del 1997,
individuando il malessere della terra, ha cercato di
porre un freno alla crescita smisurata di quei gas -
come l'anidride carbonica o il metano - che l’uomo
emette continuamente nell'atmosfera attraverso un
consumo smodato di combustibili fossili. Sono state 184
le nazioni che hanno firmato quel Protocollo - non senza
ripensamenti politici e problemi diplomatici – con
l'impegno improrogabile di ridurre le emissioni entro il
2012. In questa prima fase, gli obblighi dovevano
riguardare solo i Paesi industrializzati, con un
complesso sistema di pesi e misure.
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Ad oggi, La situazione climatica è
peggiorata ed il trattato internazionale appare ancora
cagionevole. Il
cammino da percorrere per il raggiungimento di un
accordo vincolante tra le nazioni è lungo e tortuoso,
considerato il dato sconfortante che nessuno dei
Paesi, Italia inclusa, ha mantenuto la promessa di
ridurre le emissioni.
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BLU?...
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Questa mostra non può (e non deve)
dare una risposta a tutto ciò, però può aiutarci a
riflettere – tra ironia e cruda realtà - su come oggi
buttiamo al vento una risorsa naturale bella dentro e
fuori, vitale per la nostra dimensione psico-fisica.
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Blu?...ci ricorda che il mare è
uno, ma che mille sono i modi per aiutarlo…se davvero lo
vogliamo.
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L’evento di oggi – tra mito, leggenda,
cronaca, natura…e scherzi concettuali – s’insinua
nel quotidiano parlando del mare e della vita, nel
tentativo, mai sopito, di scuotere le coscienze. Lo
spunto è dato dall’acquario dadaista realizzato da
Roberto Cavallaro, che con incisività e vena ironica -
ma anche con aperta denuncia - propone un mare…di
oggetti riciclati, nel momento storico in cui il
comune di Palermo si è impegnato in un progetto-riciclo
senza precedenti. Il progetto Blu? Il mare come non
l’avete mai visto - intende interpretare il mare
nelle tante sfaccettature, con linguaggi, materiali e
procedimenti differenziati, proponendo pitture,
installazioni e oggetti vari. A distanza di appena un
anno dall’altro importante evento (il Graffiti Day), l’Addaura
Art propone un rinnovato impegno per l’ambiente ed il
territorio palermitano in particolare, proseguendo con
coerenza il percorso culturale già intrapreso e che ne
contraddistingue il cammino da oltre 10 anni. Una strada
aperta alla ricerca ed alla sperimentazione che
sviscera, anche in questa occasione, un’energia
estetico-espressiva ben mirata.
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Antonella Affronti
ha navigato nel mare degli eventi, seguendone flussi e
riflussi; scandendo il tempo e lo spazio attraverso una
ricerca informale, più gestuale che descrittiva, più
energica che riflessiva.
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Salvatore Caputo
si è affidato al mito, immergendo i suoi pensieri nella
notte, nel momento magico in cui tutti gli elementi
trovano pace, si placano, e il riflesso lunare,
delicatamente, accarezza ogni cosa.
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Roberto Cavallaro
ha inventato un gioco-giocattolo di matrice
dadaista, rivisitando la fauna e la vegetazione marina,
ironizzando su materiali impossibili da riciclare
ma che dentro l’acquario acquistano nuovo significato.
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Paolo Chirco
ha utilizzato i materiali della terra, del mare e
artefatti. Attraverso procedimenti psico-manipolativi ha
simbiotizzato e simbolizzato le memorie del mare.
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Fabrizio Costanzo e Francesco Pintaudi,
nel loro dittico a quattro mani, hanno descritto una
metamorfosi acquatica, cliccando sugli ecosistemi la
cui alterazione, non sempre visibile ad occhio nudo,
spesso è già in atto ed ha provocato danni
irreversibili.
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Filli Cusenza
ha ri-guardato la vita nella leggerezza delle fiabe,
dove bimbi piccoli hanno nuotato il mare e
volato il cielo, confondendone i blu; i loro
grandi occhi hanno scrutato l’orizzonte in cerca
del grande amico.
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Pina D’Agostino
ci ha parlato di una pagina triste del mare, che
accoglie nel suo ventre-vita…la vita e la morte
di chi tenta un viaggio improbabile dove l’unica
possibilità di riuscita è sempre superiore alla
disperazione certa di chi vive nella propria terra.
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Toni D’Antoni
ha attraversato terre e civiltà lungo un percorso
d’acqua che racchiude - in uno scrigno prezioso - ciò
che l’uomo ha prodotto nel corso dei millenni. Lo ha
cristallizzato consegnandolo ai posteri, a futura
memoria, in tutto il suo splendore.
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Angelo Denaro,
attraverso la triste storia di un sub ci ha fatto
scoprire un mondo incontaminato, un ecosistema curato e
perfettamente autosufficiente in cui gli equilibri sono
legge. Quel filo di luce è ancora oggi un unico
concetto emozionale che lega il suo lungo racconto di
bellezza.
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Pietro Emanuele
è entrato in un vortice pittorico, e
dentro questo ha inserito elementi diversificati,
metallici, presentandoci un mare dinamico, fluttuante,
colmo di sorprese, mai domo.
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Giuseppe Fell
ha fotografato la realtà attraverso semplici e
significativi segnali-monito di un passato certo
e di un futuro (forse) negato. Le orme dell’uomo marcano
ancora il territorio e ci inducono alla speranza…ma non
hanno più una connotazione ben precisa.
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Sergio Figuccia
ci ha regalato Yakamoz - Il riflesso della luna
sull’acqua - ricordandoci che questa, è la più bella
parola del mondo ma che è anche sinonimo di bellezza e
mistericità ricollegabile alle notti di luna piena, in
cui lo scintillio è capace di irretire i turchi nei loro
momenti di rilassamento sul Bosforo.
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Manlio Giannici
ci ha condotto nel suo mare tranquillo,
naturale e archeologico dove bolle magiche e leggere
levitano sospese dentro il fluido acquatico. Qui gli
elementi rispondono ad una legge universale definendosi
nella loro forma perfetta, collocandosi con misura nello
spazio.
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Leonardo La Barbera,
vive il mare ed il cielo dividendo la sua anima tra
esaltazione del gesto timbrico - pennellate
apparentemente istintive e flussi guizzanti curvilinei
che riversa sui supporti bidimensionali - e
ragionevolezza cosmica – che ipotizza e verifica nei
suoi vetri, giocando sapientemente con le trasparenze e
i colori.
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Mario Lo Coco
ha prodotto una strabiliante onda,
sfuggente e arrabbiata, in 14 pezzi, altrettante tessere
di un mosaico significante. Due le particolarità
evidenti: le tonalità cangianti verde acqua e
azzurro-blu che la rendono sempre diversa nel suo
aspetto e la poliedricità della sua collocazione
spaziale.
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Pino Manzella
ha squarciato il mare con un segno,
ritrovando il blu, nel mare ocra. Ma quel mare è
scritto e descritto dall’uomo, vissuto e temuto,
rispettato e offeso. Adesso chiede pace e un giusto
nutrimento.
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Fabio Mattaliano
ha
innalzato l’alga anomala
attraverso un gioco di bottiglie, un’inaspettata
installazione ludica che propone con ironia la
plastica come nuovo ideale di bellezza…nutrimento di
pesci fantasma.
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Richard Mott
ha increspato il mare, con una
tela blu, luogo di eventi. La sua è una
tessera-simbolo, profonda e piena, su cui i fatti di
cronaca, i concetti e i processi mentali sono rimasti
intrappolati per essere poi accuratamente analizzati e
metabolizzati.
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Gabriella Patti
ha liquidato le forme del
flusso materico. I timbri cerulei sono lievi e delicati,
spontanei e mai definiti. Fluttuano nell’etere in cerca
di un appagamento, consapevoli del loro magico ruolo.
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Maria Giovanna Peri
non si è immersa nel mare e non lo ha
esplorato…ha preferito osservarlo in simbiosi con il
cielo, il sole e la gente. Il suo è un clic
fenomenico, forse glaciale e cristallizzante, ma
fortemente comunicativo, al cui interno l’essere umano
vive il vortice della quotidianità.
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Antonino Perricone
ha inventato la Donna-mare da
amare e ascoltare, che incanta e seduce attraverso le
movenze del suo corpo armonico ed equilibrato, ma che
ammonisce chi ne altera l’equilibrio psico-fisico. Nella
perfetta simbiosi donna-natura, ricorda a tutti il suo
essere ambivalente, nel contempo semplice e complessa.
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Giusto Sucato
ha costruito un bestiario acquatico
arcimboldiano attraverso materiali di risulta. Ricicla
chiodi, latte, legni, stoffe, tutti gli elementi del
quotidiano, riconnotando con ingegno l’identità delle
cose.
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Giacomo Vizzini
si è immerso nel mare individuando la
preda, sottolineando che il fondale marino non è l’Eden
perduto e non persegue solo l’ideale di bellezza, ma può
diventare un territorio aspro e duro, di conquista, dove
il più debole soccombe.
Fabrizio Costanzo |
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Tre sfumature di “Blu”
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Questa sera seduto sull’orlo del crepuscolo
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I piedi a dondolare sopra le onde
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Guarderò scendere la notte:
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si crederà tutta sola.
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E mi dirà il cuore: fai di me qualcosa
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Che io senta se sono sempre il tuo cuore.
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(Jules Supervielle, Gravitazioni)
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Mare nostrum:
il mare “percepito”
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Il “mare nostrum” è il mare che ciascuno porta dentro,
ciò che resta di tutti i mari sognati, desiderati,
amati, perduti, conquistati: un mare che ha la “forma”
della nostra storia, specchio delle nostre gioie
infantili, della perfetta quiete o del burrascoso
ribollire di certe nostre passioni. Tutti i nostri sensi
cercano il mare: lo sguardo, per accordare il nostro
respiro; le nostre narici, per nutrirsi del suo aroma
salmastro, il nostro corpo tutto, per farsi cingere
dalla sua forza respingente e avvolgente ad un tempo, in
uno scambio di energie primitivo, come il nostro
prendere forma, di uomini e di donne, in un grembo
acquatico, in cui abbiamo vissuto come pesci. Né il
vento, né la terra, né il fuoco possono essere toccati e
toccarci come l’acqua. Il suo corpo liquido è sempre
pronto ad offrirsi al nostro.
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Torniamo “semplici” davanti al mare: ed è tale la nostra
resa, davanti alla sua potenza, che qualcosa in noi,
segretamente, ci suggerisce che forse non era del tutto
folle la credenza che il mare fosse governato da una
selva misteriosa di dei.
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(…)Coraggio, Bulkington, coraggio!
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Stringi i denti, semidio.
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Dalle sferzate d’acqua della tua morte nell’oceano
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si scaglia in alto, a perpendicolo, la tua
deificazione.
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(Moby Dick, Melville)
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Mareare:
il mare “narrato”
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L’uomo di mare, il mare dell’uomo.
Da che iniziarono le navigazioni e il mare divenne
“territorio” di conquista, il mare “si prese”
l’uomo: non più mero luogo di commerci, mezzo di
sostentamento, ma domus del mito, patria liquida
di eroi, di creature mostruose e seducenti. Ogni viaggio
accresceva l’immaginario di nuovi pericoli e di nuove
chimere, dando corso a straordinarie narrazioni. Il
senso più alto della libertà, dello spirito di
conquista, se lo prese il mare. L’uomo “rassomiglia” al
mare: ha come lui profondità e specularità - che negli
umani ha il suono dolce di “empatia” - e come il mare
anche l’uomo è “un cosmo alieno” che nutre, al riparo
della luce, esseri sconosciuti di cui solo ciascuno di
noi conosce il nome.
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(…)Richiama, te ne prego,
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alla mente che t’ho reso di gran servizi,
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che non t’ho mai detto alcuna menzogna,
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che non ho commesso errori…”
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(La Tempesta, W. Shakespeare)
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Idromanzia: “Blu?” VS “Fleuve d’oubli”:
il mare “pensato”
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Sembra irrimediabilmente perduto questo senso di
paradisiaca o sublime contiguità con il mare, da quando
il suo sfruttamento intensivo lo ha reso territorio da
razziare: al mare sono occorsi migliaia di anni per
venire al mondo, ma poche generazioni di uomini
potrebbero bastare ad ucciderlo. Sangue azzurro versato,
senza pentimento.
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L’arte può risarcirlo? Con i colori salmastri
dell’immaginazione e dei ricordi, cantarne il dolore e
la bellezza originaria, farne il ritratto, da quando si
sono confusi i suoi lineamenti? (…eppur mi sembra di
veder sul tuo viso quel che tu dovresti essere…La
Tempesta, W. Shakespeare).
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Della forza del suo incantamento, pari alla sua
fragilità dinnanzi all’uomo, gli artisti ne fanno
installazione, scultura, la distendono sulle tele, che
diventano ammonimento e canto - un requiem e un
allegretto, un pie lesu o una passacaglia - e
tutte insieme sono, metaforicamente, le vele di un
bastimento senza cannoni e senza reti, che attraversa il
mare e ne contamina i colori, senza disperdere i veleni.
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<Peace, into the sea> è il loro canto, non da
pescatori o marinai, ma da moltiplicatori di acqua
limpida e di pesci: lo intonano per gli uomini di
terra, lo rivolgono alla loro pericolosa distrazione; lo
cantano a chi ha oltraggiato la sacralità del mare,
rendendolo una discarica a cielo aperto, a chi respinge
lo straniero dalle coste, facendo del mare un
incolpevole omicida. Sangue di mare e di uomini versato,
che nessuno scorge dalla riva, affollata di ombrelloni,
l’orizzonte dello sterminio ben nascosto dal profilo di
grandi navi per navigatori immobili, che passeggiano sui
ponti lucidi e che, come i marinai di Ulisse, hanno le
orecchie chiuse al richiamo delle “creature marine”, che
sembra dire:
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< Se con la vostra arte (…) avete gettato le acque
(…) in tal delirio, vogliate ridurle, ora, nuovamente
alla calma>
(La Tempesta, W.Shakespeare)
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Postilla blu
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Nella radice sanscrita il mare è “maru”, ossia “cosa
morta”, elemento sterile dove non c’è vegetazione. E
sebbene il mare non sia sterile ma ricchissimo di
straordinarie forme di vita animale e vegetale, l’etimo
di questa parola non vi appare come un presagio?
Elina Chianetta |
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