Galleria Graffiti & Addaura Art  (Palermo)
presso Hotel Addaura

 

 
 
Blu? Il mare come non lo avete mai visto
Collettiva 9 luglio/30 settembre 2010
Sul potere evocativo del mare, sulla capacità delle azzurre vastità marine di alimentare l’ispirazione artistica, nonché – più banalmente – di innescare fantasiosissime spirali fabulistiche e mitopoietiche, si potrebbe scrivere un ponderoso trattato di carattere accademico.
Dal paradigmatico epos di Omero alla metaforica Tempesta shakespeariana, dalla “leviatanica” ossessione di Melville alla futur-tecnologica profezia di Verne, dalla possente drammaticità di Hemingway alla poetica leggiadria di Prevert – per rimanere brevemente in ambito letterario – e ancora dal vivace naturalismo delle pitture murali minoiche (con scattanti delfini ed altri pesci che guizzano nei flutti) al raffinato decorativismo di quelle d’epoca romana (scene dall’Odissea, vedute di città portuali), dalla poliedricità figurativa dell’evangelica pesca miracolosa (dai paradigmi musivi bizantini a quella pensata per gli arazzi dal sommo Raffaello) alla “tempestosa” maestosità marina dei pittori olandesi del ‘600 (van Ruysdael sopra tutti), dalla fosca e pre-informale visionarietà di William Turner alla raffinata empatia “pre-ambientalistica” di Hokusai, dai luminosi colorismi degli impressionisti fino alle esplosioni ipercromiche dei fauves e ai ritorni classicistici dei novecentisti – per fare un breve excursus nelle arti visuali – e inoltre dall’incalzante contrappunto vivaldiano (La tempesta di mare) alle più pausate atmosfere di Debussy (La mer) – per citare qualche limitato exemplum musicale – è infatti tutto un incedere diacronico di svariate (e monumentali) dissertazioni sulla tematica, in grado di offrire un’ampia panoramica sulle immense potenzialità immaginifiche e narrative di cui il mare è foriero sin dagli albori della nostra civiltà, e quindi sul ruolo che esso ha giocato (e continua a giocare) nella determinazione dell’immaginario culturale dell’intera umanità.
Se è vero – come ipotizzano alcune scuole di pensiero – che le modalità più profonde e radicate del cogitare umano si presentano (e rimangono) pressoché identiche e invarianti in spazi e tempi fra loro anche assai diversi e distanziati (basterebbe qui soffermarsi un attimo a contare quante generazioni si susseguono lungo una linea familiare nel corso di un secolo, cioè non più di cinque, per comprendere come ciascuno di noi sia stato preceduto negli ultimi 2000 anni, ovvero nell’arco di tempo che va dall’epoca di Augusto e Cristo ad oggigiorno, da non più di 99 individui, e complessivamente da circa 200, procedendo a ritroso fino al 2000 a.C., e per intuire così, con un  certo sgomento, come un’idea possa muoversi lungo i millenni alla stregua d’una freccia che percorra con gran celerità la propria traiettoria), ciò spiega e motiva ampiamente il perché il mare continui ancor oggi a esercitare un fascino immutato su artisti ed intellettuali, fungendo – come in antiquo – da autentico epicentro e fonte ispiratrice, capaci di catalizzare, con determinstica efficacia, un difforme e polimorfo sublimato di pensieri, affetti ed emozioni.
Il mare, dunque, quale possente polo d’attrazione, vero e proprio “maelstrom” – volendo citare una “visione” marinara del grande Edgar Allan Poe – al cui intenso vorticare è impossibile sottrarsi, in una “discesa” che obbliga al confronto con se stessi e col mondo circostante.
A questa incontenibile pulsione hanno immancabilmente ottemperato anche gli artisti dell’associazione Graffiti, aderendo al progetto di una mostra collettiva – non casualmente intitolata Blu? – per l’appunto tutta incentrata sul mare e sulla sua inconsunta capacità di evocazione.
Ventiquattro declinazioni ben differenziate – quelle dei partecipanti a questa interessante iniziativa –, improntate a tecniche, linguaggi e – soprattutto – assetti narrativi estremamente variegati, le quali, per ciò medesimo, si rivelano congruamente atte a fornire un ben articolato caleidoscopio di intriganti e suggestivi spunti di analisi e riflessione.
Iperrealismo metafisico (Giannici), realismo sociologico (Peri), affabulazione immaginifica (Cusenza, Costanzo e Pintaudi), ironia surreale (Cavallaro), astrazione allusiva (Chirco, La Barbera), espressività materica (Lo Coco), simbolismo allegorico (D’Antoni, Perricone, Mattaliano), colorismo emozionale (Denaro, Manzella), impegno civile (D’Agostino), informale evocativo (Patti), humour impietoso (Mott), misteriosità crepuscolare (Caputo), vedutismo criptico (Figuccia), pathos veristico (Vizzini), inventiva fantasiosa (Sucato), turbolenza polimaterica (Emanuele), cronachismo inquietante (Fell), pregnanza ipercromica (Affronti) si alternano e susseguono in un incedere visuale che induce nell’osservatore un obbligato approccio analitico e speculativo. E tutto ciò – dunque – al di là delle semplice “offerta” d’una gamma di gradazioni di carattere estetico – che pure devono esserci e vanno rispettate nella loro ampia opinabilità –, ma piuttosto a conferma dell’assoluta rilevanza – per una mostra collettiva – della peculiarità (e della significatività) della tematica portante, in quanto filo narrativo, minimo comun denominatore e linea di repere, innanzitutto per gli artisti compartecipi – così chiamati a una mirata gestione della loro
espressività – e non di meno per i visitatori – cui viene chiesta un’accurata e partecipata lettura simpatetica –.
Una esposizione – questa allestita all’hotel Addaura – che ribadisce con forza la valenza del legame e del contesto associativo (da considerare non solo una occasione ed un ambito ideale in cui incontrarsi e confrontarsi, ma soprattutto uno strumento culturale che consente, sul piano pratico, di svincolarsi dalla dipendenza, troppo spesso clientelare, da pubbliche amministrazioni del tutto sorde a qualsivoglia iniziativa che non riguardi parenti, amici, amanti, clientele varie e pseudo-intelletuali di notorietà mediatica), rilanciando la necessità – com’era in altri tempi – di travalicare gli steccati degli sterili soggettivismi e tornacontismi da retrobottega (che purtroppo abbondano anche fra gli artisti) in funzione non tanto di movimentismi para- (o pseudo-) avanguardistici, quanto d’una piena consapevolezza del valore dell’unità di intenti da perseguire (che non rispondano a vacui programmi od obsolete ideologie) e quindi d’una rinnovata coscienza del ruolo sociale dell’ideare e agire artistici.
Un modus operandi che dovrebbe anche assumere il peso “politico” proprio dell’esercizio di una fisiologica funzione di controllo e di analisi critica nei confronti di chi gestisce e amministra le attività culturali, da attuare non solo nelle forme naturali della proposta e dell’offerta di spunti di riflessione mediante la sollecitazione posta in essere dalle opere d’arte e dalle relative cornici espositive, ma anche nelle vesti di censure ed invettive (senza tema di ritorsioni) laddove l’operato dei pubblici amministratori (e dei colleghi artisti ed intellettuali variamente “accoliti”) – in fatto di cultura ed anche altro – sconfini nell’inaccettabile indecenza.
 
 
                                                                                         Salvo Ferlito (settembre 2010)

 

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