SEDI VARIE A BAUCINA (Palermo)
 
 
 Time Art
opere scultoree di:
Angelo e Vincenzo Deguardi, di Francesco Giglia, di Achille Laiti e di Enzo Puleo
 
“Il tempo è presente” - (Sant’Agostino)
“ La persistenza della memoria” - (Dalì, 1931)
 
 
Un Symposium di scultura nel segno della
Ideologia alchemica della “grande madre Terra”      
La pietra: da materia bruta a dignità aurea
 
Baucina. Qual è la molla che spinge un direttore artistico-scultore, Vincenzo Deguardi, a realizzare un Symposium d’arte, in Sicilia, in un paese dedito all’agricoltura e da poco anche al turismo? Cosa spinge il primo cittadino, il sensibile ed attento Sindaco Ciro Coniglio e gli amministratori tutti a prendere le distanze da eventuali scelte politiche goderecce riconducibili all’immediatezza del piacere, in un paese che solo ora si dedica al turismo, ed a credere nel progetto Time Art? La risposta sta nell’amore per la propria terra, nel credere in progetti lungimiranti, formativi, didattici; sicuramente forte è la certezza di lasciare un seme, che, germogliando, possa diventare frutto della memoria.
Il progetto dalla Provincia di Palermo, da Baucina, con un’eco immediata, ha esercitato il suo arcano richiamo, nel mondo degli scultori, attorno al suo territorio; ha richiamato mani possenti di valenti e straordinari scultori che da tutta Italia hanno risposto a Time Art, la cui valenza è quella di recuperare prustianamente il tempo perduto per l’arte, veicolandolo e distribuendolo in un percorso che costituirà, nel tempo, attraverso un percorso unitario, paese per paese,  un Museo a cielo aperto.
Un Symposium di scultura quale linfa vitale per la creazione di una memoria storica che andrà a valorizzare, nel tempo, il tessuto del territorio, andrà ad arricchire un contenitore naturalistico già pregno di storia e di cultura, impreziosendo questo già prezioso scrigno con quelle che costituiscono delle perle, nell’arte: le opere scultoree di Angelo e Vincenzo Deguardi, di Francesco Giglia, di Achille Laiti e di Enzo Puleo.

 

Non sterili complementi d’arredo, non solo gradevoli complementi d’arredo destinati a parchi urbani e suburbani, bensì opere vive, queste sculture dei maestri, il cui plus valore è costituito dal loro linguaggio. Un linguaggio che è comunicazione efficace, attuale, col presente ma è anche dialogo antico, poetico, in un intimo abbraccio con l’anima del passato e con l’anima dei Padri; è linguaggio futuribile che tesse nuove geometrie comunicative che parlino alle nuove generazioni, che rechino in sé persino oggi,  la memoria di ieri e di domani, insieme….
 Opere che con la forma, con la materia e con la sostanza dialogano, dunque, con il territorio, ne assorbono gli umori ed i sapori. Dal territorio esse leggono e colgono miti e leggende, con esso tessono ed intrecciano, in forme plastiche e le più variegate, storie e racconti dei Padri; opere scultoree che altro non sono che sentimenti e saggezza di una comunità condensate e scolpite nell’anima, in quell’anima di coloro che non intendono mai dimenticare il passato, l’anima loci, la memoria storica di un luogo.
Non dimentichiamo l’idea sacrale della scultura che nasce dal ventre della Terra, si nutre di compone d’acqua , di terra, di fuoco, d'aria, dei quattro elementi della natura; crediamo di aver intuito in questo processo naturale di nascita della pietra e dalla pietra la nascita della scultura nella sua  l’ideologia alchemica…di metamorfosi…
Un’ esperienza quasi magica, mistica, religiosa di trasmutazione della materia che da materia informe, allo stato primordiale, diventa “ altra”, simbolicamente aurea. Se la Terra è dunque procreatrice, fonte di vita e di fertilità, ciascuno scultore ha offerto un’eccellente prova nel saper procreare, sulla pietra, in un rapporto d’amore intimo e profondo come tra la mamma ed il suo bambino, rendendo fertile la loro idea, per poi trasferirla in una volumetria plastica che condensi l’espressione della loro anima….senza tempo.
Giorgio Montefoschi, nel suo ultimo libro, “ Le due ragazze con gli occhi verdi”, tratta del tema della memoria e afferma che “ La memoria è tutto” e ci ricorda che il tempo è sempre presente, come ci diceva Sant’Agostino. Sappiamo che le lancette dell’orologio si muovono, che la sabbia cade inesorabilmente nel fondo della clessidra…ma la memoria ferma il tempo, la memoria è vita, fino alla fine dei nostri giorni.

 

Inoltre, Salvador Dalì, nel 1931, realizzava una delle sue opere più profonde, importanti, dal punto di vista filosofico e la intitolava: “ La persistenza della memoria”. In essa, alcuni orologi “ molli” si piegavano e deformavano sotto il peso della memoria…e della sua persistenza.
In conclusione, cinque scultori a confronto, in questo work in progress, cinque brillanti artisti che non temono confronti, cinque percorsi diversi, cinque stili, cinque generi, cinque mani destre che hanno scolpito cinque straordinarie storie…
E’ già storia, oggi…Si racconta, a Baucina che un simpatico artista venuto dalle brume del Nord, da Verona, con i baffi antichi, bianco-grigiastri, attorcigliati come due virgole, all’in su, per lavorare la sua scultura, dal nome “ Francesca” si sia arrampicato sulle spalle della sua creatura di pietra, di roccia calcarenitica e si dice pure che abbia chiesto, per la sua “Donna col bambino” ad una giovane ragazza, di nome Francesca, di Baucina, diciottenne, in attesa di un bimbo, di posare per lui, quasi alla fine dell’opera, per coglierne i tratti siculi, lo sguardo già “materno”, addolcito dall’attesa…E Francesca è felice di questo!
Scriveva Salvatore Fiume: “ La cosa più importante è che l’artista generi i suoi capolavori ai quali si è dedicato con la cocciutaggine di un innamorato”. Da giorno 8 settembre, la serata di consegna delle sculture alla comunità ed al Sindaco, alla presenza delle massime autorità, le pietre nel cui cuore è imprigionata l’anima di ciascun artista, saranno una nuova storia da raccontare, con amore. La fotografia d’arte, affidata a Mario Conti, già direttore artistico della prima edizione di lancio del Symposium di scultura nella Provincia di Palermo, a Godrano, ha suggellato e suggellerà ancora, con scatti d’autore, questo pregnante evento culturale che ha messo a dura prova artisti di notevole spessore ma ha offerto brillanti e duraturi esiti: opere di pregio che eserciteranno un richiamo turistico e ricorderanno l’operosità di chi vi ha lavorato al sole ed al vento, sotto l’acquazzone e a temperature africane, come minatori con elmetti, cuffie,occhiali, mascherine; come picconieri di miniera, gli artisti hanno scavato la loro amica per innestarla nella loro pietra; come contadini, sotto il sole, si sono misurati con gli agenti atmosferici per trasformare la pietra in un “eroe”; come contadini, hanno seminato il loro seme, hanno sperato che il loro progetto prendesse forma, con la stessa operosità di un contadino, con il loro sudore hanno condiviso la loro giornata…
I brillanti risultati si traducono nella realizzazione di  opere dal titolo  “ Caos” di Vincenzo Deguardi,  “ Lo Schiavo” di Angelo Deguardi , “ Liberazione” di Enzo Puleo,
 “ Francesca” di Achille Laiti, “ Demetra” di Francesco Giglia
Evocatrici d’ombre, di memorie.
A questo proposito, prima di passare a decodificare il messaggio segnico delle singole opere, mi piace concludere questa premessa con un profondo pensiero di René De Chateaubriand che, nelle sue “ Mémoires d’Outre-tombe” scrive: “ Nessuno, come me, si è creato una società reale evocando delle ombre, al punto che la vita dei miei ricordi assorbe il sentimento della mia vita reale”
Al Symposium ha partecipato la giovanissima, ventisettenne, regista Annarita Campo, di Rosolini che con il suo eccellente curriculum di cineasta, con un suo prossimo film, girato a Baucina ( se le condizioni lo permetteranno) offrirà uno spunto in più, oltre questo evento d’arte, per puntare i riflettori su questo ridente  paese a due passi da Palermo. Inoltre, il mio rapporto di stretta collaborazione, in qualità di sceneggiatrice di un film, con la stessa regista Campo,  determinerà una maggiore valorizzazione degli stessi artisti presenti al Symposium e delle loro pregevoli opere che saranno innestate, con alcune riprese, nel “girato” in digitale e  riversato in pellicola. Tutto ciò perché crediamo nell’arte totale, un concetto di progetto culturale integrato ed innestato su quello economico, progetto che, nell’ambito e nella dimensione strategica di marketing, offrirà sicuri e duraturi risultati, nel tempo, in termini economici oltre che culturali.
 

 
GLI ARTISTI E L’ IDEOLOGIA ALCHEMICA DI CIASCUN OPERA
 
ANGELO DEGUARDI lo scultore-poeta
 
Titolo dell’Opera
Schiavo
 
Essere anche un poeta, un raffinato poeta, oltre che scultore, significa trasferire sulla pietra, innestare come un germe vitale, pagine d’intensa poesia, significa trasferire l’animo sensibile del poeta nel cuore della roccia….Ammirando l’opera di Angelo Deguardi sembra di sentire l’eco profonda dei versi di Salvatore Quasimodo:
 “ Ognuno sta solo sul cuore della Terra
trafitto da un raggio di sole
 ed è subito sera”. Di fatto “ Schiavo” reca i segni sofferti dell’anima sulla pietra, quei segni che sono i segni della sofferenza dell’uomo contemporaneo costretto a fronteggiare un quotidiano costellato , anzicchè di stelle splendide e splendenti, di dolore e di malattie, di violenze e di orrori, per guerre e calamità naturali. La pietra, dunque, sotto le mani di Deguardi, che scava, con onde, quasi vibrazioni dell’anima, onde di sonorità spirituali, la roccia calcarenitica, ci parla della debolezza dell’uomo del terzo millennio, debole schiavo, in balìa delle onde delle mode, dell’immagine che conta a tutti i costi, in balìa delle sirene incantatrici di internet e della “cattiva” televisione. “ Schiavo”, dunque, l’uomo, della forma; ed è per questo che delle catene imbriglieranno la scultura per rendere ancora più palese, più forte, più chiaro il profondo messaggio filosofico di Angelo Deguardi che affonda le radici nella filosofia di  Erich Frömm , quella dell’essere e non dell’avere.
Una scultura  didattica che ricordi ai teenagers che occorre imporsi, nella vita, con la propria personalità, mai schiavi della forma.
Quella di Angelo Deguardi è una ricerca, , come nei “ Quadri parigini” di Charles Beaudelaire della specificità della parola poetica, innestata nella scultura, capace di decifrare le corrispondenze tra mondo sensibile e mondo soprannaturale ( Spleen e ideale) al di là della noia, sentita e definita  come condizione esistenziale caratteristica della “modernità”.
 

 
VINCENZO DEGUARDI il direttore artistico-pittore e scultore
 
Titolo dell’Opera:
“ Caos”
 
Affermava il filosofo Friedrich Whilhem Nietzscke che dal caos nasce una stella, alludendo, a mio avviso, alla creazione della nostra Galassia, all’astro di fuoco che raffreddandosi diede inizio alla vita sul nostro pianeta Terra. Allo stesso modo, Vincenzo Deguardi, dal caos che è già lo stesso caos, la confusione dell’idea dello stato nascente, dell’idea che deve concretizzarsi nel progetto e poi nel prodotto, allo stesso modo nasce la creatura scultorea di Deguardi. Egli, attraverso una rispondenza di curvilinee che conferiscono un equilibrio ritmico all’opera ed un’armonia d’insieme, ripercorre sinteticamente, il cammino dell’uomo dallo stato di caos al progetto vagheggiato di “Umanesimo Integrale” che lo strappa dal degrado per restituirlo ad una dimensione “altra”in cui possa egli riconoscersi nella pienezza dei suoi valori.
“Caos” ha anche il potere di evocare la casa di Girgenti, quella di Pirandello ed ha il potere di suggerire le magiche suggestioni del film omonimo dei fratelli Taviani che traduce poeticamente le atmosfere del baglio siciliano in cui si consumano le vicende dei personaggi che gravitano nel fortunato film dei valenti cineasti. 
Vincendo Deguardi è esperto del “ Caos”: come direttore artistico, che ha creduto in un progetto che porterà lontano (anche oltreoceano, dove Deguardi ha già i suoi attenti e preziosi collezionisti). La sua scultura, in senso simbolico, recuperando quello che è il metalinguaggio scultoreo, dell’arte, rappresenta l’eterna, giusta, lotta dell’uomo contro il suo destino.
Come in Leonardo Sciascia che trova per la Girgenti di Pirandello un paragone con Spoon River di Lee Masters, allo stesso modo nel caos di Deguardi occorre che il luogo della metamorfosi diventasse mezzo di espressione, luogo convenuto in cui le verità (e non la verità) degli autori che compongono le tessere di un unicum ( di un mosaico a cinque mani), trovassero declinazione in un’unità drammatica.
Lo scultore, pertanto, ha saputo far nascere una stella, per dirla come il filosofo tedesco di Röchen: cioè  l’ha partorita dal caos della moltitudine del pot- porri degli eventi siciliani e l’ha donata, per farla brillare nel nitore del  firmamento di Baucina che crede, fortemente, nei progetti culturali.
Alla sua stella, si uniscono quelle altre stelle che costituiscono quell’unico puzzle, “griffato” Angelo Deguardi, Francesco Giglia, Achille Laiti e Enzo Puleo.
 

 
FRANCESCO GIGLIA lo scultore del mitologico
 
Titolo dell’Opera
“Demetra”
 
C’è da aggiungere che il titolo dell’altezzosa scultura di Giglia si correda di un’intera frase: “ Ti ritroverò tra i tuoi fuochi, qui, Demetra, o gentile…”riconducendo, lo stesso titolo alla mitologia greca ed all’etimologia dello stesso nome di Baucina, dal greco BaykoΣ, lezioso, o per altri, gentile.
Dunque, lo scultore si fa massimo interprete delle radici mitologiche del luogo; strappa alla storia dei miti l’affascinante racconto  di Demetra, la dea greca della fecondità della terra,d ell’agricoltura e della vita sociale organizzata, molto vicina, dunque, alla comunità di Baucina. Figlia di Crono e Rea, ebbe da Zeus la figlia Kore-Persefone. Dopo il rapimento della figlia da parte di Ade, ella vagò alla sua ricerca, ottenendo infine, da Zeus, di poter ritornare sulla terra per nove mesi all’anno. Durante il suo vagare, la Dea avrebbe insegnato ad Eleusi, a coltivare il grano ed avrebbe iniziato ai misteri del suo culto Trittolemo.
Pertanto, la scultura a lei dedicata, come per un'amorosa " corrispondenza d'amorosi sensi", per esprimerci come i più grandi poeti, non può che essere pertinente al territorio, un paese che è vocato all’agricoltura. La stessa è realizzata nella massima sintesi dell’idea, composta e complessa dello scultore, resa poi minimale dalla maestria del brillante Giglia; è, dunque, strettamente legata alle feste della semina e del raccolto. Occorre ricordare che il culto di Demetra e di Persefone era diffuso in tutto il mondo greco e presso i romani Demetra fu identificata con il nome di Cerere. Quasi totalmente fedele al suo straordinario bozzetto, Francesco Giglia, ha offerto il massimo nel suo work in progress, sin dai primi giorni del suo operato nella Piazza dedicata alle Vittime della Mafia ed ha offerto ai numerosi presenti che si sono avvicendati, esaustive spiegazioni del suo progetto, mostrando il bozzetto e giustificandone le sue matrici.
La sua creatura di pietra, ora, rende il giusto tributo all’operosità dei Baucinesi, si pone quale riconoscente omaggio alla nobile civiltà contadina ed ai sudori dei suoi antenati. Una scultura che si frappone, come una tessera di mosaico, tra la fatica del vivere ed il mito di ieri, sempre vivo ed attuale, anche oggi, inscritto in una dimensione moderna, pur nella sua arcaicità, attraverso canoni che sconoscono i confini del tempo.
Demetra, nella solenne interpretazione di Giglia, sembra segnare uno spartiacque tra l’antico silenzio, espresso dalla figura mitologica, ed il fragoroso frastuono del vivere, oggi.
Forme e volumetria minimali, nel loro dispiegarsi stilistico, sembrerebbero ricondurci a sembianze di donna, seminascosta da un  mantello; il  volume del blocco calcarenitico è scavato, nella facciata principale della pietra,  al fine di realizzare una cavità ed un foro che, opportunamente  dipinto di rosso fuoco, in contrasto con il colore  giallo paglierino della pietra, conferisca maggiore slancio e dinamicità all’opera. Essa è pervasa da profonda armonia e da composta ed altezzosa eleganza che sposa appieno la mitologia con il territorio, nell’adozione di canoni neofuturisti che denotano la forte ed incisiva personalità dell’artista.
 

 
ACHILLE LAITI

 

Titolo dell’Opera:
“Francesca”
“ Sofferenza di una madre ancora vittima della mafia”
 
 
Dinamismo materico e poetica di forme e volumi modulati su ritmi musicali: si potrebbe sintetizzare così la produzione dello scultore Achille Laiti, scultore, mia conoscenza internettiana che si materializza, dopo la mostra di  Taormina, a Baucina, nella Provincia di Palermo, con le sue forme ed i suoi volumi, a rendere omaggio a quelle donne che ancora soffrono, oggi, ancora vittime della mafia. “ Francesca” è il suo nome; è slanciata, bella come una dea giunonica, forte ed altera, coraggiosa e determinata, come tutte le madri siciliane, sinuosa nelle sue forme, sguardo languido e malinconico, come una dea tradita.
Laiti, venuto a Baucina, espressamente, da Verona, è qui per cantare le gesta delle sue donne sensuali e poetiche; le sue donne passionali, carnali, vichinghe o mediterranee sino al cuore, un cuore antico, stavolta di roccia dal cuore siciliano: un cuore duro, nella sua materia, resistente…
Ed al tempo stesso fragile, friabile, malleabile.
Materia eterna, la pietra….
Laiti scrive le sue memorie di Sicilia, ricche di pathos greco e affida a Francesca, la sua scultura il compito di ricordare la sofferenza delle madri ancora oggi, vittime della mafia. Come Herman Hesse, l’artista innalza il suo omaggio all’amore….
Egli affida ad una materia resistente, come la pietra, il suo canto di scultore per cantare valori universalmente riconosciuti, come l’amore, la passione eterna.
La materia diventa duttile come l’oro colato, nelle mani del valente scultore; forme e volumi tessono danze nell’aria, volteggiando, inscrivendosi in figure geometriche virtuali, in cui Laiti incastona sogni e speranze femminili. Egli scolpisce con animo al femminile, dalla parte delle donne, ma con mano virile. Lo scultore sembra quasi “intrecciare” i corpi femminili, li modula, li modella, li contorce, esaltandone le loro voluttuose forme…Tutto ciò alludendo a quello straordinario ventaglio di emozioni, di sentimenti e di poesia che un corpo di donna può offrire, se nerudianamente cantato, come fa Achille Laiti…”Cuerpo de mujer, blancas colinas, muslos blancos…”: l’artista sembra evocare i sensuali versi del brillante poeta cileno……….”Te pareces al mundo en te actitud e de entrega…”
La sua “ Francesca” riteniamo possa trovare una più giusta collocazione nella Piazza che ricorda le vittime della Mafia; Laiti, con animo sensibile, attento alla cultura siciliana, pur essendo veneto, di Verona, ha avvertito, come una pulsione nell’anima: il ricordare, ancora oggi, le donne vittime della mafia, quelle donne che, sole, costrette a lottare contro il mondo, hanno per unico conforto la loro piccola creatura: quel bimbo abbarbicato alle carnose e forti braccia che Laiti rappresenta, è l’ unica ancora di salvezza, per quella donna, sofferta e tormentata dal dolore.
            

 
ENZO PULEO lo scultore trascendentale

 

Titolo dell’opera
“Liberazione”
 
Un’intensa indagine introspettiva caratterizza l’opera di Enzo Puleo, che “gioca in casa” come si suol dire, essendo un brillante scultore di Baucina, autore di splendidi “modellati”. Le sue sculture adornano mirabilmente, la chiesa madre del suo paese; ci osservano dall’alto dei pulpiti, come angeli del focolare; ci impressiona come l’autore, in queste statue che fin da piccolo sognava di realizzare, abbia colto, nel viso di San Giovanni, opera cara allo stesso autore, la psicologia del discepolo di Gesù, sintetizzando, con maestrìa, sicurezza ed umiltà nel volto del santo.
 La sua scultura, realizzata nel corso del Symposium di Baucina, parla della metamorfosi dell’uomo che “era” e “non è più”; è  un uomo “altro”.
 Puleo affronta, pertanto, una tematica di forte attualità che coinvolge le difficili scelte dell’uomo, in tutti i campi, in tutte le dimensioni…L’uomo che si libera dell’angoscia di dovere vivere una doppia vita, tra l’essere un uomo ed essere una donna, tra l’essere un buon padre e l’essere un uomo senza schemi. Un’opera che si nutre di un importante e meditativo, trascendentale silenzio, il silenzio che assale chi medita  tra l’essere ed il non essere, tra il consumare una condizione di disagio, pirandellianamente imprigionato in una forma, ed il vivere, invece, delle altre condizioni esistenziali, libere da ogni condizionamento sociale.
“Liberazione”, dunque, il titolo dell’opera di Enzo Puleo, un ‘opera che, pur non essendosi interpellati, gli autori, sui loro progetti, s’innesta e si incastra in simbiosi mutualistica, virtuale, con l’opera di Angelo Deguardi, dal titolo “ Schiavo” e si aggancia, altrettanto virtualmente al “ Caos” del disordine delle “Scuole di Pensiero”, per così dire, dell’opera di Vincenzo Deguardi,  per poi  legarsi  a “Francesca” di Achille Laiti che auspicherebbe una “ Liberazione” totale e definitiva dalla mafia ed avvicinarsi all’opera “ Demetra” di Francesco Giglia, come fil rouge virtuale, nel segno del messaggio di fondo: quello del desiderio di “Liberazione” di Demetra dal dolore.
Opere, dunque che si legano insieme, per un progetto inconsapevolmente unitario. 
Come nel dramma Pirandelliano, dal titolo “Sei personaggi in cerca d’autore”, in cui il drammaturgo siciliano è messo di fronte alla ribellione dei suoi personaggi, allo stesso modo Enzo Puleo è costretto a fronteggiare la sua scultura, nel suo palcoscenico che è la Piazza, rispondendo alla ribellione della pietra al suo progetto, al suo disegno primigenio; la pietra si libera, dunque,  dell’autore che, regista del suo copione, intendeva “piegarla” alla sua volontà….
A questo punto, la roccia calcarenitica compie una sua strada, vitale.
Allo stesso modo del valente scrittore di Agrigento, il citato Pirandello.
 Puleo, scolpendo la sua creatura “ a soggetto”, come i grandi autori di Teatro del Settecento, adotta un altro percorso progettuale. La nuova rotta intrapresa  concede all’artista di conseguire, ugualmente, esiti positivi, quelli sperati, nel segno del messaggio iniziale dell’artista: messaggio legato all’esigenza dell’uomo di liberarsi da qualsiasi schema, per vivere la sua esistenza nel migliore dei modi.
 
Maria Teresa Prestigiacomo
  
Maria Teresa Prestigiacomo è critico d’arte ed opera in campo internazionale ed abitualmente tra Parigi, Bruxelles, Miami e nel 2010 opererà anche ad Alessandria d’Egitto e a Mosca.
Giornalista iscritta all’Ordine dei Giornalisti, ha conseguito numerosi Premi Internazionali, in Italia ed all’estero; tra questi, ricordiamo il Premio Internazionale Cartagine, Africa ed il Premio per il Giornalismo Culturale a Roma, Premio Calderoni, al Teatro Valle. Nel 2008, a Caltanissetta consegue il Premio AnticaPietra Rossa per la Cultura e l’Arte. Accreditata come giornalista e critico cinematografico al festival del Cinema TaorminaBnlFilmFest E TaorminaFilm Fest, a tutt’oggi, ha diretto con successo la sezione Mostre alla Mostra del Cinema dello Stretto, Messina, 2007 e 2009.
Il critico ha al suo attivo numerose pubblicazioni d’arte e monografie per maestri storicizzati quali Beniamino Minnella, Pietro Piccoli ed altri autori. Inoltre, è presidente dell’Accademia Euromediterranea delle Arti dalla stessa fondata, di recente. Collabora con la Gazzetta del Sud e con altre testate giornalistiche italiane ed estere, anche on line.
 

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