|
-
- Gallerie
Biotos e Spazio Bquadro
- Via XII Gennaio
- Palermo
|
|
-
-
A PROPOSITO DI DONNE
- collettiva
-
-
-
Condizione
decisamente controversa, quella della donna contemporanea.
Controversa e irresoluta, per la palese difficoltà a
pervenire ad una piena eguaglianza dei diritti e
soprattutto ad una completa (e rivoluzionaria)
emancipazione dalla dittatura dei modelli di pensiero
imposti dall’altro sesso.
-
Non è, infatti, – come
alcuni banalmente credono – una semplice questione di
“quote più o meno rosa” ad impedire l’affermazione
femminile (benché ciò abbia un suo peso rilevante), ma un
ben più complesso problema di affrancamento da un sistema
di norme e di schemi di natura patriarcale, nato e pensato
nella notte dei tempi per disciplinare i comportamenti
individuali e collettivi secondo logiche di forza
tipicamente mascoline.
-
Acquisire – del tutto
legittimamente – ruoli e compiti fin ora d’appannaggio
esclusivamente virile, di fatto non implica altro che una
equiparazione di tipo meramente “funzionale”, ma di certo
non determina la liberazione definitiva dal giogo
“culturale” esercitato per millenni dal cosiddetto sesso
forte.
-
L’intera organizzazione
della nostra società è tutt’ora basata su dinamiche
relazionali marcatamente “agonistiche” e “muscolari”; e
non basta la traslazione della forza bruta sul piano più
“simbolico” e “regolamentato” della competitività, della
concorrenza, dell’autorità, della gerarchia, dell’ordine
costituito, per ridimensionarne la profonda e peculiare
impronta maschilista. Basterebbe qui riflettere sugli
archetipi delle religioni (dalle più antiche e politeiste
alle più recenti e monoteiste) per imbattersi in un quasi
costante prevalere delle componenti maschili (per lo più
in posizione di imperio assoluto e prioritario rispetto a
quelle femminili), a dimostrazione della volontà di
statuire inderogabilmente un insieme di valori che
discende da un potere virile, paternalistico e del tutto
inappellabile.
-
-
Proprio le arti visive,
che da sempre hanno fatto della figura muliebre un
insistito oggetto di rappresentazione (esprimendo per
millenni un punto di vista prevalentemente maschile), si
sono non a caso avvalse del corpo della donna per
perseguire finalità palesemente “normative” (per lo più
esaltando il ruolo di moglie ossequiosa e madre amorevole
e non di rado condannando come ferine e devianti le
pulsioni più libertarie) con l’intento di definire quel
codice comportamentale cui ogni femmina doveva ottemperare
con sottomissione. Un approccio ribadito ampiamente da
tanta (troppa) produzione massmediatica attuale
(soprattutto pubblicitaria), ove, nonostante l’esibita
spregiudicatezza degli atteggiamenti, nei perimetri del
corpo femminile (mercificato e ridotto a prodotto seriale
di riferimento) si estrinseca tutto il peso d’un potere
economico (e quindi, ancora una volta, d’una volontà di
induzione e controllo dei comportamenti altrui)
riconducibile a visioni del mondo rigorosamente al
maschile.
-
A tutto ciò – e in
particolar modo alla difficoltà ad introdurre degli
“specifici” muliebri negli impianti antropologici e nelle
dinamiche sociali – fa riferimento l’operato degli artisti
chiamati a partecipare a questa mostra.
-
Al di là delle tecniche,
dei linguaggi e degli stili più o meno innovativi (che
offrono però un interessante osservatorio sulla produzione
artistica in atto nella nostra isola), quello che affiora
è un resoconto controverso e articolato, in cui
raffigurazioni “classiche” (nel senso del lessico, ma
anche del modo di rappresentare l’universo femminile) si
alternano a “più libere” letture e narrazioni (con una non
edulcorata esibizione dei rovelli, delle inquietudini e
delle problematiche), in una veritiera contrapposizione di
opinioni e indicazioni sulla complessità dello stato delle
cose.
-
-
Dalla
ritrattistica alle scene di genere, dal rigore
naturalistico alla pura invenzione, dall’empatico
scandaglio psicologico al più simpatetico fluire
emozionale, quel che si registra – nel pensare e
nell’agire degli artisti dei due sessi – è comunque
l’esibita volontà di offrire dei sentiti punti di vista,
sui quali soffermarsi a riflettere in maniera tutt’altro
che banale.
-
Vagheggiamenti,
idealizzazioni, fobie, angosce, malinconie, ironie si
susseguono in un variegato caleidoscopio di disegni,
dipinti, sculture, fotografie ed installazioni,
restituendo fedelmente agli osservatori quella
frastornante babele di forme e contenuti, quella
multifocalità dello sguardo e della percezione, quella
instabilità emozionale ed affettiva, che costituiscono i
tratti salienti delle tante tensioni (e dei troppi
cortocircuiti) di cui è intrisa la condizione femminile
nella nostra incerta ed inquieta attualità.
-
-
-
Salvo Ferlito (giugno 2012)
-
-
-
|
|
-
-
Dialettica, generazioni a
confronto
-
-
-
Quello
dell’artista “monade assoluta”, capace – ex abrupto
– di inventare autonomamente stili e linguaggi del
tutto innovativi (senza subire alcuna forma di
“contaminazione” dall’esterno), è uno di quei tipici
luoghi comuni (alimentati da una certa mitopoiesi
pubblicistica, tanto interessata e parziale, quanto
falsa ed infondata), decisamente immarcescibili e
duri a morire.
-
Qualsiasi “insight”
spontaneo e (presuntamene) palingenetico non può –
infatti – che avvenire all’interno d’una ben precisa
trama relazionale, che preveda – ineludibilmente –
il confronto “sincronico” con le progettualità dei
contemporanei e quello “diacronico” con la lectio
dei maestri del passato. Un consapevole approccio
dialettico (improntato non schematicamente ad una
rigida contrapposizione fra tesi e antitesi, che
conduca “meccanicamente” ad una sintesi non
costruttiva, ma basato su un proficuo dialogo fra
idee anche marcatamente contrapposte, che permettano
di fare lievitare soluzioni sincretiche ove il
carattere “evolutivo” appare chiaro e percepibile),
è da sempre il dato saliente d’ogni tipologia di
ricerca e sperimentazione nel campo delle arti
visive (e non solo) ed è soprattutto un modus
operandi programmaticamente esibito da ogni vero
artista, onestamente conscio del peso e del ruolo
esercitati dalla tradizione del “museo” e dal valore
dell’attualità.
-
Come spiegare
altrimenti l’avida attenzione per il “panorama
circostante” e per le “vestigia d’altri tempi” che
ha sistematicamente connotato l’ideare e agire
artistici di Pablo Picasso, non a caso – a torto o a
ragione – considerato il più grande innovatore dei
lessici visuali nel corso dell’intero ‘900?
-
Senza il determinante
“contributo” della decostruzione formale cézanniana
e dell’estetica delle arti aborigene – infatti – la
grande rivoluzione cubista non avrebbe giammai avuto
luogo, e gran parte dei fenomeni visivi del secolo
trascorso non si sarebbe mai profilata e sviluppata.
E parimenti, senza la capillare conoscenza dei
grandi exempla dei secoli passati (dalla pittura
pompeiana agli affreschi di Raffaello delle stanze
vaticane, dal classicismo emiliano di Guido Reni al
pathos tutto iberico del connazionale Goya, tanto
per indicare alcune delle più evidenti
“appropriazioni” da egli effettuate), gran parte
della sua più nota produzione visuale (da
Guernica a Massacro in Corea e alle
Tauromachie) assai difficilmente avrebbe potuto
conseguire quei qualitativi esiti che lo hanno
consacrato fra i grandi artisti d’ogni tempo.
Analoghi discorsi si potrebbero fare per tanti altri
maestri della contemporaneità e del passato prossimo
e remoto (basti qui ricordare la forza dirompente
del “verbo” giottesco su tutta la pittura del ‘300 o
ancora gli influssi subiti da Raffaello ad opera del
Perugino prima e di Leonardo e Michelangelo poi, o
la rilevanza della tradizione tre-quattrocentesca
nel “ritorno all’ordine” del novecentismo, solo per
fare qualche esempio illuminante), a dimostrazione e
conferma dell’inevitabilità dei fenomeni di innesto,
ibridazione e interferenza, quali costituenti di
base d’ogni fertile terreno di coltura per
l’impianto e lo sviluppo di dinamiche infrattive,
pulsioni “programmaticamente” anti-accademiche,
neo-progettualità varie, e soprattutto soluzioni
linguistiche ed esecutive realmente foriere di
sorprendenti innovazioni.
-
-
Citazioni ed
imitazioni sono – dunque – il vero propellente e
sale costitutivo d’ogni sviluppo e slancio
artistici, e senza che ciò implichi in alcun modo la
coartazione o la limitazione della libertà ideativa
e gestuale di alcuno e – men che mai – quei
meccanismi di <<immalinconimento>> derivanti dalla
difficoltà o – ancor più – dall’impossibilità di
superare gli ideali “paradigmi” e “referenti”
elevati a modelli elettivi coi quali confrontarsi (e
in più d’un caso anche scontrarsi). Quel che conta –
infatti – non è tanto l’incombenza del “monumentum”
col quale dialogare e rapportarsi (pur aspramente),
ma piuttosto la capacità d’ogni vero artista di
apportare un personale “valore aggiunto”, grazie al
quale determinare quello scarto – piccolo o grande –
che permetta una fattiva crescita individuale e
complessiva. Poter estrinsecare a pieno la propria
soggettività – seppure nei perimetri d’una ardua e
spesso impari comparazione – è quanto attiene alla
dimensione psicologica e allo statuto operativo di
chiunque sia dedito alle arti visuali, e tutto ciò –
però – in una ineludibile relazione “maieutica” che
possa consentire il “parto” di idee e manufatti di
evidente qualità.
-
Non può, dunque,
sorprendere che al progetto Dialettica –
precipuamente incentrato sul confronto generazionale
– abbia aderito una nutrita pattuglia di
artisti (ventitré, per l’esattezza, e tutti
appartenenti a differenti fasce anagrafiche), i
quali hanno fatto del “dialogo” (intenso e anche
serrato) con otto maestri del ‘900 un’imperdibile
occasione di incontro, raffronto e contaminazione
fra tecniche e linguaggi.
-
-
Nessun timore
reverenziale né alcun ossequio acritico né – men che
mai – qualsivoglia atteggiamento distorsivamente
“agonistico” (foriero di schematismi o pregiudizi)
nell’ideare e agire dei ventitré partecipanti
all’uopo selezionati, ma piuttosto la ricerca
effettiva d’una relazione pienamente (e fertilmente)
“simpatetica” con gli otto referenti, tale da
innescare proficue dinamiche di carattere inventivo
e immaginifico e da consentire – al contempo –
un’autonoma affermazione della propria
individualità.
-
Quella che ne è
conseguita è un’accurata panoramica sulle difformi
istanze e sui diversi orientamenti della
contemporaneità, in grado di delineare la temperie
in atto mediante una riuscita ottica di comparazione
con quella di pochi decenni fa. Nonostante la
stretta contiguità coi tempi in cui operarono i vari
Arman, Boetti, Corpora, Dorazio, Festa, Germanà,
Perilli e Rotella, il clima odierno appare – infatti
– radicalmente trasformato, essendosi ormai
attenuata l’indicazione “movimentista” degli anni
’50, ’60 e ’70, in funzione – nel bene o nel male –
d’un palese “ecumenismo estetico” che tutto
compendia e assorbe al proprio interno. Senza dubbio
analoga è la pulsione alla ricerca e alla
sperimentazione (in una piena equivalenza di impegno
intellettuale e accuratezza estetica) e tuttavia
assai diverso appare il “mood” sotteso ai processi
di ideazione artistica, prevalendo – anche in
presenza di accensioni coloristiche o arditezze
lessicali – un tono decisamente più introflesso e
ripiegato, come a rimarcare quell’inquietudine di
fondo per lo “stato delle cose” che tipizza la
nostra quotidianità e che si discosta nettamente da
quegli impianti più assertivi e fiduciosi
(caratteristicamente avanguardistici) di gran parte
del secolo trascorso.
-
-
Così, la radicale
critica al mondo della produzione industriale, già
insita nell’elevazione al rango artistico dell’objet
trouvè e del ready made, si configura ora come più
pessimistica rassegnazione agli inquietanti esiti
d’un progresso – per dirla con Pasolini – che non ha
più nulla di quell’idea di sviluppo tanto
pervicacemente vantata e sbandierata fino a non
molto tempo fa. Analoga riflessione anche per
l’immaginario pop, la cui analisi dell’opulenza
della società dei consumi, persi via via i connotati
del compiacimento o dell’ironia, assume sempre più i
caratteri d’una violenta allucinazione di tipo
psicotropico. E parimenti, i vagheggiamenti
demiurgici propri dell’astrazione più
geometricamente cartesiana lasciano il campo a
geometrismi (plastici o pittorici) improntati a
trasognatezze o spigolosità cariche di più liberi (e
meno controllati) fremiti interiori. Lo stesso
impeto dell’informale (un tempo foriero d’un
cosciente senso di liberazione delle più riposte
energie intrapsichiche) adesso diviene un più
sofferto incedere emozionale e affettivo, ove le
fluttuazioni coloristiche, la sarabanda gestuale, la
polimatericità, le ricercatezze tonali si fanno
carico d’un posizionamento esistenziale tutt’altro
che riconducibile a moduli psicodinamici di semplice
e catartica liberazione. Anche nel ricorrere della
figurazione (tanto in termini di corporeità
femminile, quanto di paesaggismo e vedutismo) le
riprese contingenti paiono decisamente più assorte
ed alienate (come ad indicare la dissoluzione delle
certezze femministiche in una confusa
problematicità) o comunque intrise di una
visionarietà “topografica” – ora violenta ed
estroflessa, ora ben più scarna e pausata – la quale
si fa chiara proiezione soggettiva di profonda
inquietitudine o d’incoercibile voglia di fuga dal
reale.
-
Venute meno le
“griglie” ideologiche (politiche ed estetiche) dei
decenni scorsi, quei toni stentorei (tipici di
manifestazioni artistiche vessillifere di aspri
contenuti critici e di radicali istanze visuali)
adesso paiono, dunque, stemperarsi – pur nella
piena e compiuta consapevolezza delle proprie cifre
stilistiche – in un eloquio più contratto e meno
risoluto (anche laddove tecniche e linguaggi
sembrano propendere per una percepibile esuberanza o
estroflessione) e soprattutto sfrangiarsi in una
molteplicità caleidoscopica di soluzioni lessicali e
declinazioni narrative. Il tutto a indicare –
finalmente – il pieno affrancamento dell’artista
contemporaneo dall’obbligatorietà di essere uno
schierato (e spesso anche omologato) “engagé”, ma
anche – e purtroppo – il suo essere sempre più
“disorientato” in un contesto “babelico” ove tendono
a prevalere cogenti logiche di mercato e sterili
forme di individualismo egotistico.
-
E’ questo lo “spirito
del tempo” che affiora in filigrana anche in questa
mostra; un tempo in cui il ruolo sociale e politico
dell’artista si è ormai eroso fin quasi a
scomparire, ma nel quale – e per fortuna – la
capacità di farsi narratori di emozioni e
sentimenti, attraverso irretenti affabulazioni per
immagini, si presenta ancora pregnante e inalterata.
-
Una magia visuale che
continua a sostanziarsi di spunti e suggestioni
variamente mutuati e mescolati in un tangersi e
intrecciarsi assai vitale, e che in tale confronto
fra generazioni – al di là d’ogni pessimismo – trova
la sua conferma piena ed assoluta.
-
-
Salvo Ferlito (gennaio 2011)
|
Invia questa pagina ad un amico |
|
|
|