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di Maria
Teresa Prestigiacomo
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Si chiude
il sipario sui personaggi grotteschi e caricaturali di un
artista originale, dalla forte personalità che mai nessun
artista ha saputo imitare: Franz Borghese ci lascia. Con lui
muore un pezzo molto importante di quella storia dell’Arte
più fantasiosa, pur gravitando nella sfera dello stile
figurativo; quella che ha visto l’artista muoversi tra gli
ambienti milanesi e quelli romani, dai più begli anni
Settanta in poi, quegli anni Settanta che brillavano della
luce di Giuseppe Capogrossi, Giulio Turcato, Sanguigni e
Moretti con i quali Borghese dividerà uno studio in Via
Bertoloni, a Roma.
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Conobbi
Franz Borghese a Milano: erano gli anni Settanta; da
giovanissimo critico, nel 1975, a soli venti anni,
frequentando la Galleria di Via Brera 8, Il Cannocchiale, di
Augusto De Marsanich, il cui habitué quotidiano era come
“minimo”, il maestro Domenico Purificato, ebbi il piacere di
conoscere questo bel trentenne tenebroso e misterioso,
contestato dai grandi maestri perchè le sue opere venivano
vendute per il tramite della rivista d’arredamento “ Casa
Viva”. Mi propose- tramite De Marsanich con il quale
cominciavo ad operare, da studentessa universitaria che si
affacciava al mondo dell’arte per diventare un critico- di
vendere le sue opere di grafica e mi regalò un suo studio
che conservo gelosamente da allora. Iniziò così, con Franz
Borghese, con la gavetta, il mio cammino di critico d’arte:
con una cartella cartonata e plastificata, con gli eleganti
manici che celavano le splendide opere di Borghese. Era il
1977: ci si incontrava alla Galleria “ Il Cannocchiale”, con
Domenico Purificato e il fantasioso Pozzi, l’artista degli
arlecchini; a volte, si univa al gruppo il famoso scultore
Minguzzi, il celebre scultore dei bassorilievi bronzei che
adornano le porte del Duomo di Milano. Insieme, ci si
recava, spesso, al ristorante del fiorentino “Bagutta”, caro
a Sandro Pertini e a Spadolini, prestigiosa sede del noto
Premio letterario “ Bagutta”. Lì, Luca Vernizzi, il
vignettista Francesconi del Corriere delle Sera, si davano
appuntanento. Lì, in quel posto magico, diversi artisti
mangiavano “ a sbafo”, consegnando al titolare, il sig
Pepoli, opere di gran pregio o affrescando pareti ( come
fece il messinese Eligio Egitto che vi si recava quasi ogni
giorno, barattando i suoi pasti con le sue costardelle dello
Stretto o con il mare delle Isole Eolie). Erano i tempi in
cui Borghese si sposta di continuo tra Roma e Milano ( a
Roma si era iscritto al Liceo Artistico di Via Ripetta).
L’artista aveva fondato, nel 1964, il gruppo e l’omonima
rivista “ Il ferro di Cavallo” che vantava tra i suoi
collaboratori Dario Bellezza, il poeta, Daniela Romano
pittrice, compagna di Borghese, Correnti e Cimara.
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Borghese si afferma con la sua arte, cogliendo l’aspetto più
alienante della società del tempo e della vita metropolitana
delle due grandi metropoli e di questo mondo alienante, ne
fa il senso profondo delle sue opere, il fil rouge, la nota
dominante che diventa il segno distintivo del pittore
romano, inconfondibile tra mille.. Fedele al suo stile, ai
suoi personaggi con la tuba, grotteschi e felliniani che
suonano la tromba o che giocano a scacchi, che si amano, che
marciano come automi con la corda dietro alle spalle, come
peluches dalle batterie Duracell, non si farà mai
contaminare dalle mode degli anni a seguire, accolto con
successo di critica e di pubblico da tutte le Gallerie del
mondo....sino al 16 Dicembre, data che segna la fine di
quella corda che i suoi personaggi erano costretti a
subire....Muore Franz Borghese, una porzione della grande
Storia dell’Arte italiana con lui.