Pubblicato
il catalogo ragionato delle opere d’arte
ospitate nei fastosi spazi della settecentesca
sede della Città Metropolitana di Palermo
<<Rara
avis>>, avrebbero detto i Latini.
Non accade infatti di frequente che una
iniziativa culturale (specificamente di ambito
storico-artistico), promossa da una istituzione
pubblica, si riveli veramente degna d’attenzione,
e quindi meritevole d’una accurata e
approfondita recensione.
Nel
"mostrificio permanente" che
contraddistingue la nostra attualità, ove si
cela – nemmeno tanto velatamente – il mero
desiderio di fare cassa e in cui predomina l’operato
dei soliti storici e critici d’arte di
"chiara fama televisiva" (e di
altrettanto evidente "ammanigliamento
politico"), individuare un atto di
effettivo e inoppugnabile valore, che non sia
una bieca speculazione sostenuta con denaro
pubblico, è cosa davvero assai difficile, sulla
quale è assolutamente doveroso soffermarsi.
Nessun
"impareggiabile capolavoro",
riemerso da qualche soffitta o comparso dal
nulla sul mercato (come nel caso del piccolo
dipinto su tavola attribuito ad Antonello da
Messina, poi acquistato dalla Regione Siciliana,
ma sulla cui autografia ci sono sempre stati
grossi dubbi, tant’è che nessuna istituzione
museale internazionale fece alcuna offerta per
acquisirlo) e da esibire frettolosamente all’interno
d’una "mostra evento" (però spesso
costruita con relativo o nullo spessore
scientifico), né tanto meno alcuna
imperdibile "esperienza immersiva" in
allestimenti virtuali (con le immagini di
opere d’arte dei "soliti noti", come
il povero ed inflazionatissimo van Gogh,
ingigantite e proiettate sui muri, a metà
strada fra le luci stroboscopiche e il
frastornante videogioco), ma una dettagliata
pubblicazione, capace di valorizzare
congruamente sia una collezione museale assai
poco conosciuta che lo splendido contesto
monumentale preposto a contenerla.
Si
tratta de LA COLLEZIONE D’ARTE MODERNA E
CONTEMPORANEA DI PALAZZO COMITINI (già
sede della Provincia Regionale di Palermo e
adesso della Città Metropolitana e, pro
tempore, anche del Consiglio e della Giunta
Comunale della città a causa del restauro di
Palazzo delle Aquile), catalogo ben ragionato
dell’assortito insieme di dipinti e sculture
acquisite e ricevute dalla Provincia nel corso
dei decenni, per lo più in conseguenza delle
attività espositive promosse e sostenute con l’ausilio
(spesso assai mirato) dei pubblici
finanziamenti.
Un
piccolo museo – visto il ridotto numero di
opere in esso contenute – che potrebbe
apparire come una "goccia nel mare"
in una città dal ricchissimo patrimonio
storico-artistico (e il cui antico centro è uno
dei più estesi d’Europa) quale Palermo; e
tuttavia di gran rilievo, poiché in grado
di offrire la fedele e circostanziata mappatura
di quanto accaduto nelle arti visive siciliane
negli ultimi centocinquant’anni.
Dal
raffinato e virtuosistico "verismo"
tardo-ottocentesco di Francesco Lojacono (Paesaggio,
marina con scogliera) a quello non meno
aderente al dato di natura del suo fedele
allievo e imitatore Mario Mirabella (Golfo
di Palermo da Romagnolo), dai primi timidi
tentativi di emancipazione dalla cogenza del
verbo lojaconesco di alcuni suoi epigoni quali
Rocco Lentini (Sette cipressi, 1920)
e Sabatino Mirabella (figlio del suddetto
Mario, Paesaggio, 1928) alla prima cesura
– netta e programmatica – attuata con
clamore dal futurista corleonese Pippo Rizzo
(Paesaggio-Luce-Estate, 1928), dagli echi
espressionisti del più libero e sintetico
fluire della pennellata di Aldo Pecoraino
(Paesaggio) e Lia Pasqualino Noto (Paesaggio,
1959) fino alla dissoluzione quasi informale
dell’intenso e impattante colorismo di Gigi
Martorelli (Paesaggio, 1966) e ancora
alla disgregazione materica e fantasmagorica del
vedutismo di Croce Taravella (Via
Celso, 2005) e alla stesura maculare e
meramente allusiva dei pigmenti combusti di Paolo
Madonia (Paesaggio, metà anni ’90)
– volendo citare alcune delle opere presenti
in collezione – è infatti possibile
ripercorrere, con assoluta puntualità,
le tappe di quell’articolato itinerario
che ha portato gli artisti siciliani a superare
progressivamente (e fra non poche difficoltà)
gli steccati provinciali d’una figurazione
obbligatoriamente chiara ed intellegibile, in
direzione d’una libertà espressiva e d’una
varietà linguistica decisamente più
cosmopolite ed in linea con quanto in atto nel
vorticoso fluire delle arti visive
contemporanee.
Una
panoramica precisa e dettagliata – questa
che descrive la tensione fra persistenze
conservatrici e slanci filoneistici – cui
contribuiscono, in termini di confronto e
paragone, anche le opere di artisti non
siciliani, fra i quali l’iberico Pedro Cano
(con l’evanescenza ectoplasmatica della
sua pittura ad acquarello) o il lombardo Trento
Longaretti (la cui stesura materica e la cui
accensione coloristica danno luogo ad una
sintesi formale intensamente evocativa) o come
la romana Rossana Feudo (dal suadente
nitore figurativo che si carica però di echi
assai inquietanti e misteriosi).
Analoghe
considerazioni per le opere scultoree presenti
in collezione, le quali, procedendo dalle
sinuosità delle figure di Mario Rutelli (in
cui si percepisce l’influsso dell’incipiente
Liberty), passando per l’eleganza del
modellato di Benedetto De Lisi (ove
risuonano gli echi del Déco) e per l’euritmia
plastica di Emilio Greco (recupero
aggiornato d’una misurata volumetria di
matrice classica), fino a giungere al
minimalismo allusivo di Giacomo Rizzo (la
cui sintesi formale mantiene tuttavia un’intonsa
penetranza narrativa), danno conto della
volontà di declinare il vigoroso "corpo a
corpo" con la materia in un libero e
consapevole confronto con gli stili e i
linguaggi maggiormente in voga nel panorama
circostante.
Una
pubblicazione – come detto – decisamente di
vaglia, e ciò anche per la qualitativa
ricognizione dei ricchi ambienti settecenteschi
che ospitano la raccolta (con un’attenzione
particolare per il cosiddetto Camerino di
porcellana, doviziosamente fotografato da Sandro
Scalia) e per la capacità – in definitiva
– di dar conto della grandiosità e del fasto
che caratterizzavano le magioni aristocratiche
siciliane in quella specifica fase che segnò il
passaggio dalla teatrale monumentalità del
primo Barocco alle più leggiadre ridondanze del
raffinato Rococò.
Unico
neo di questo bel catalogo – curato
attentamente dalla storica dell’arte Giusi
Diana – è il limite di non essere in
commercio, e quindi di essere soltanto un
privilegio per pochi e fortunati eletti cui
viene discrezionalmente omaggiato. Un limite al
quale – si spera – la Città Metropolitana
di Palermo infine voglia ovviare, mettendolo in
commercio e rendendolo così fruibile da un più
vasto pubblico di appassionati e di studiosi.
Salvo
Ferlito