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MARIO LO COCO
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La
Terra e i colori
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Una
equilibrata ed armonica
interazione fra scultura, grafica
e pittura, nei perimetri della
raffinata arte ceramica di Mario
Lo Coco. In esposizione dall’undici
al venticinque maggio 2013.
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Una
sintesi perfetta di volume e di
colore. E’
questo il connotato saliente e
distintivo delle raffinate
ceramiche plasticate da Mario Lo
Coco, artista di notevole
inventiva e non comune manualità,
capace di trasformare l’informe
materia argillosa in opere di
indiscusso pregio estetico.
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Arte
antica, quella ceramica, da
annoverare senza dubbio (al pari
della pittura e della scultura)
fra le prime manifestazioni
artistiche dell’umanità;
e tuttavia troppo spesso negletta
e ancor oggi sottovalutata, sì
da venir relegata, con una certa
sufficienza, nell’ambito
(a torto ritenuto subalterno e
ancillare) delle arti cosiddette
minori o decorative. Una
distinzione, quella fra arti
maggiori (grafica, pittura e
scultura) ed arti minori (tutte le
altre genericamente classificate
fra le discipline dell’artigianato
artistico), assolutamente fittizia
e inappropriata, come del resto
dimostrano i tanti movimenti (uno
per tutti l’Arts
and Crafts influenzato dalle
teorie di William Morris) che
della loro piena equiparazione si
sono fatti programmaticamente
artefici e promotori. A quale
categoria, infatti, ascrivere
assoluti capolavori quali i vasi
ellenici di Eufronio o le
splendide statue ceramiche cinesi
della dinastia Tang (per non
parlare dell’incredibile
esercito di terracotta sepolto a
Xi’an)
oppure gli spettacolari manufatti
italiani d’epoca
rinascimentale (primi fra tutti
quelli dei Della Robbia), a quella
delle grandi (e vere proprie)
opere d’arte
o semplicemente a quella del pur
qualitativo artigianato artistico?
E ancora, per venire ai nostri
giorni, come inquadrare le
performances ceramiche di Picasso
e soprattutto di Fontana e di
Leoncillo? Come piene espressioni
della loro migliore e più
rappresentativa produzione
artistica o come meri (e meno
significativi) divertissement all’interno
di un più
rilevante percorso di protagonisti
delle arti visuali?
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Domande retoriche, ovviamente, cui
però
è in grado di rispondere
con congrua pertinenza proprio
Mario Lo Coco, il quale ha per l’appunto
posto la modellazione e la cottura
dell’argilla
colorata al centro dei personali
orizzonti ideativi e gestuali,
pervenendo ad esiti
plastico-pittorici di non comune
rilevanza visuale. Quello di
Mario, infatti,
è un itinerario che, pur
muovendo dalle determinanti
premesse della tradizione figulina
isolana (si pensi ai manufatti
sei-settecenteschi di Burgio,
Sciacca, Trapani o Caltagirone o,
più
recentemente, all’operato
del palermitano De Simone), tende
tuttavia a snodarsi lungo
direttrici di forte e marcata
innovazione, caratterizzate da un
continuo ed inesausto anelito alla
ricerca ed alla sperimentazione
tecnico-linguistiche.
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Non
pago di un lessico visivo di tipo
più
classicamente figurale, il nostro
Mario ha voluto, non a caso,
esplorare i territori linguistici
dell’astrazione,
optando, da qualche anno a questa
parte, per soluzioni più
caratteristicamente informali, in
cui il libero fluire del colore
(vivacizzato da sapienti misture
di pigmenti vetrosi ed inserti di
metallo fra loro ben amalgamati da
adeguate tecniche di cottura) si
fa pienamente carico della
esplicitazione di profondi
contenuti emozionali ed affettivi.
E tutto ciò,
ovviamente, sempre nell’ambito
d’una
accurata e sapiente manipolazione
della materia prima (l’argilla),
sì
da poter pervenire, come già
detto, ad un armonico equilibrio
fra forma e colore, fra sviluppo
volumetrico nello spazio e
caleidoscopico inceder delle
cromie. Gli azzurri acquosi, i
rossi incandescenti, i neri
tratteggiati, i gialli solari si
compongono così
sulle superfici invetriate,
interagendo al contempo con parti
scabre e non dipinte (ove a
padroneggiare
è il tipico rossore spento
della terracotta), in un gioco
articolato di squilli e di
silenzi, di aggetti e di incavi,
di rientranze e fratture della
struttura cretacea, che allude a
una visione simbolica del mondo
naturale, in cui l’elemento
ctonio e quello aereo paiono
contendersi lo spazio in una sorta
di continuo (ma equilibrato)
confronto-scontro di forze
primordiali. Non
è un caso, quindi, che
nelle opere di Mario ricorra di
frequente la forma sferica, quasi
a voler alludere all’orbe
terraqueo e a quell’insieme
di dinamismi naturali, sui quali
proiettare intensamente i più
riposti sussulti della psiche. Un
dato, quello del riferimento
allegorico al mondo fisico, che
affiora in maniera sistematica
anche nelle ceramiche dal
caratteristico andamento spaziale
più
lineare (le recenti composizioni
di elementi ipercromici che
tendono a snodarsi in lunghezza su
lastre diafane di plexiglass), le
quali paiono portare a pieno
compimento la completa
integrazione delle varie
discipline artistiche (disegno,
pittura e scultura) in un unicum
sintetico e omogeneo di forte e
penetrante impatto visuale.
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E’
dunque questo il grande merito
artistico di Mario Lo Coco, l’aver
raggiunto l’equlibrata
interazione fra le arti
“maggiori”
nei perimetri elettivi d’una
disciplina erroneamente
considerata
“minore”
e
“subalterna”.
A inoppugnabile dimostrazione dell’infondatezza
di qualsivoglia gerarchia di
valore fra le varie arti e ad
ulteriore conferma della sola
preminenza della vis del pensiero
immaginifico sotteso al gesto
artistico.
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Salvo Ferlito
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