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MASSIMO CAMPIGLI
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LO STILE E I LIMITI DI UN’OSSESSIONE,
FONDAZIONE MAGNANI ROCCA, TRAVERSETOLO (PR).
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È in corso alla fondazione Magnani Rocca la mostra “Campigli. Il
Novecento antico” a cura di Stefano Roffi. Tedesco di nascita,
italiano di formazione, parigino per cultura, Campigli è tra gli
artisti più rappresentativi del Novecento: personaggio colto,
parlava cinque lingue, inusuale per il nostro panorama
artistico. Inizia a dipingere nel 1919, quando, come inviato del
Corriere della Sera, si trasferisce a Parigi e vi resta fino al
1939 recependo gli stimoli dell’allora capitale internazionale
dell’arte, che formò il gruppo dei Sette Italiani di Parigi con
Giorgio De Chirico, Filippo De Pisis, Perisce, Alberto Savinio,
Gino Severini e Mario Tozzi. Uomo solitario, nella sua pittura
si intrecciano geometrie e magie, memorie e simboli; fu anche
uno scrittore raffinato e riservato. La mostra comprende oltre
ottanta opere, concesse da musei e collezioni private. Nelle
opere di Campigli gli abiti, le pettinature e i gioielli hanno
un significato centrale. Campigli sapeva registrare e spesso
anticipare gli sviluppi della moda nelle sue donne elegantissime
donne-totem dal busto stretto fermate in un’espressione di
elegante stupore. Donne ingioiellate, eppure prigioniere,
fragili e preziose sono principesse votate alla schiavitù. Il
mistero che si cela nell’arte di Massimo Campigli, a documentare
l’emozionante percorso dell’artista dagli anni venti agli anni
sessanta, quando le sue iconografie tipiche, figure femminili
racchiuse in sagome arcaiche di grande suggestione simbolica,
divengono esplicite meditazioni sul modello femminile, sempre in
equilibrio fra ingenuità e cultura che rende personalissima la
sua maniera. Per conoscere l’artista e la sua ossessione
dell’immagine femminile bisogna entrare nella sua vita
familiare. Il mistero è protagonista nella vita di Massimo
Campigli: infatti si è scoperto che era nato a Berlino e che il
suo vero nome era Max Ihlenfeld. La madre, tedesca di appena
diciotto anni, non era sposata; per evitare lo scandalo il
bambino venne portato in Italia. La madre che gli aveva dato il
cognome lo vedeva saltuariamente. Si sposa nel 1899 con un
commerciante inglese e quindi prende con sé il suo bambino
fingendo di essere una zia, ma all’età di quattordici anni
scopre casualmente la verità e cioè che era Max Ihlenfeld:
questa vicenda familiare dal punto di vista psicologico lo segna
per tutta la vita; infatti non uscirà più dalla dimensione
infantile e permetterà di prendere il sopravvento sulla realtà
per rendergliela accettabile. Scrive: “Non mi sono mai rifugiato
nel sogno, nell’infantilismo, ci sono semplicemente rimasto, non
ne sono mai uscito”. Il suo ieraticismo, austero, severo e
rigido, ma allo stesso tempo estremamente immediato, sa essere
al contempo familiare e popolare, Massimo Campigli riesce a
trovare, infatti, spazio per una spontanea, sottile e velata
ironia. Il tutto plasmato con una tecnica raffinatissima di
cromie che rendono il colore, morbido e consistente, particolare
imprescindibile del suo lavoro. Egli in un sua presentazione al
catalogo di una personale alla galleria del Naviglio a Milano
nel 1963 scrive: “Vorrei che con i miei quadri si potesse
convivere come con un lento pendolo silenzioso. Se poi quello
che conta fosse l’elemento psicologico del quadro niente è più
favorevole, perché il subcosciente si manifesti che lavorare
assorbito in problemi puramente tecnici, quasi per distrarre la
mente” (è certamente un giudizio-guida per accostare lo
spettatore alla comprensione della sua pittura).
La mostra è disposta in cinque sezioni, oltre ai grandi mosaici
allestiti nel giardino: la bella ritrattista, con le effigi di
personalità del mondo della cultura, ma anche belle e famose
signore; la città delle donne, che accosta le opere che rivelano
l’ossessione per un mondo che pare tutto al femminile; i
dialoghi muti, coppie incapaci di comunicare, le figure in sé
prive di identità che accosta al proprio passato di reporter a
Parigi. Di particolare interesse l’accostamento, per la prima
volta in un’esposizione, delle quattro enormi tele che Massimo
Campigli teneva nel proprio atelier.
L’esposizione si avvale del sostegno di Fondazione Cariparma e
di Cariparma Credit Agricole.
Il catalogo Silvana Editoriale a cura di Stefano Roffi con
interventi di Luca Massimo Barbero, Nicola Campigli, Mauro
Carrera, Nicoletta Pallini, Paolo Piccione, Rita Rozzi, Sileno
Salvagnini e Marcus Weiss.
Fondazione Magnani Rocca a Mariano di Traversetolo (Parma) fino
al 29 giugno 2014 lo scopo per richiamare così l’attenzione su
uno dei pittori più significativi del Novecento italiano,
presente nei maggiori musei del mondo. Aperto anche tutti i
festivi. Orario: dal martedì al venerdì orario continuato 10-18
– sabato, domenica e festivi orario continuato 10-19. Lunedì
chiuso. .
Ingresso: € 9,00 - € 5,00 per le scuole.
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Anna Scorsone Alessandri
- maggio 2014 |
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