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LOGGIATO SAN
BARTOLOMEO |
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PROVINCIA
REGIONALE DI PALERMO
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UFFICIO STAMPA
tel. 091/6628936 – fax 091/6628935
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‘Effaçages
E LAMIERE’ DI MIMMO
ROTELLA.
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GLI
INEDITI DEL “MAESTRO DELLO STRAPPO”
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IN
MOSTRA FINO AL 23 FEBBRAIO
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Palermo, 22 dicembre 2005 - Il
presidente della Provincia Francesco Musotto e l’assessore alla
Cultura, Tommaso Romano inaugurano venerdì 23
dicembre, alle 19, al Loggiato San Bartolomeo (corso Vittorio
Emanuele 25, Palermo) la personale di Mimmo Rotella dal titolo
Effaçages e lamiere, promossa dall’amministrazione di
Palazzo Comitini.
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L’esposizione, costituita per la maggior parte da opere inedite
dell’artista calabrese, “maestro dello strappo”, e pensata
proprio per l’allestimento al Loggiato di Palermo, raccoglie gli
effaçages
(dal francese “cancellature”) del periodo parigino e le lamiere
realizzate negli ultimi anni, ovvero le due facce
dell’inconfondibile vocazione di Rotella al dècollage,
cifra peculiare di tutta la sua produzione.
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La mostra
è organizzata da “Il Cigno G.G. edizioni” e curata da Lea
Mattarella, con la collaborazione del direttore della fondazione
Rotella, Piero Mascitti. In catalogo, anche un testo dello
scrittore marocchino Tahar Ben Jelloun.
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La
mostra resterà in allestimento fino al 23 febbraio 2006, e
potrà essere visitata gratuitamente dal martedì al sabato,
dalle 16.30 alle 19.30, la domenica dalle 10 alle 13. Per
informazioni, Ufficio Relazioni con il pubblico della
Provincia, 091-6628923/8290/8921. Sul web,
www.provincia.palermo.it.
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GIUSEPPE MODICA
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PICTOR OPTIMUS
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La recente personale
al Loggiato di san Bartolomeo conferma la qualitativa vocazione
neo-rinascimentale dell’artista mazarese
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Nel grande ed
inesausto dibattito (talora, purtroppo, ridotto a mero
chiacchiericcio) su ciò che la pittura è o, quanto meno, dovrebbe
essere, l’operato di Giuseppe Modica pare in grado di intervenire
con un peso specifico di portata decisamente non comune.
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Pictor
optimus o, per meglio dire, pictor
doctus, Modica è infatti artefice d’un lessico rigorosamente
figurativo, il cui virtuosismo tecnico è ben riconducibile alla
migliore tradizione “classica” dei secoli trascorsi. In un periodo
storico in cui, nella prassi delle arti visive, l’idea ha buon gioco
assai spesso su qualsiasi altra considerazione di carattere
strettamente metodologico-esecutivo (detto in due parole, di fronte
all’arte astratta e ad altre sperimentazioni, ancor oggi, non pochi
osservatori manifestano il dubbio che gli artisti in esame non
sappiano né disegnare né dipingere), il grande nitore segnico di
Modica, il suo padroneggiare le matematiche regole della
prospettiva, il suo sapere declinare i colori con effetti di
tonalismo inusuale e raffinato costituiscono l’esemplare paradigma
d’un andamento in controtendenza, che fa del “mestiere” (inteso
nella sua accezione migliore e più elevata) il centro inderogabile
d’un maturo fare artistico.
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Giuseppe Modica è in
tal senso un autentico artista “neo-rinascimentale”, e ciò senza
scadere in superficiali anacronismi, ma sempre mantenendo una
tensione ideativa ed una chiarezza programmatica che non indulgono a
facilonerie di sorta o ad altri cedimenti.
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Le tipiche atmosfere
meditative e pausate (che conferiscono ai suoi dipinti una
particolare aura metafisica), la prevalente desolazione dei contesti
raffigurati (con l’eccezione di qualche silente e totemica presenza
femminile), la peculiare azzurrità tonale di cieli e mari (con un
richiamo, che pare anche un ossequio, all’avvolgente colorismo
giorgionesco), i mirabili effetti “realistici” di scrostatura ed
abrasione (prodotti dal tempo e dagli elementi sugli infissi e le
piastrelle ricorrenti nei suoi quadri), l’impianto ieratico delle
composizioni (tale da congelare l’eros degli armoniosi nudi
femminili), il gioco velazqueziano di specchi e di riflessi unito
allo scenografico uso – quali quinte e riquadri – delle finestre
(per cui il punto d’osservazione del fruitore si immedesima in toto
con quello del pittore) e il conseguente susseguirsi nello spazio
della tela di ambienti interni ed esterni (intrisi d’un raffinato
luminismo di stampo veermeriano) non sono, dunque, che la riprova
della centralità del padroneggiamento delle tecniche ai fini della
puntuale rappresentazione d’un universo immaginifico di forte
impianto cogitativo e progettuale.
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Prima di essere
emozione, la pittura – pare volerci dire l’artista mazarese – è idea
e quindi progetto da tradurre scientemente sul supporto con adeguato
procedimento costruttivo. Solo così, l’idea può esprimere il
profondo sentimento (ed anche la sottostante emozione) che la
alimenta, rinnovando l’incanto inesauribile di quella immagine
illusoria – perché questo è la pittura – e di quell’inganno
cognitivo che agli occhi di ogni riguardante divengono assoluta
verità.
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LE INQUIETANTI “OMBRE” DI GLORIA ARGELES
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Una mostra di sculture che rilancia la centralità del pensiero
forte nell'arte contemporanea
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Dal 10 settembre al 10 ottobre 2004
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Passione civile e impegno politico. Sono questi – insieme a una
grande padronanza delle tecniche scultoree e ad una notevole
inventiva – i tratti salienti del gesto artistico di Gloria
Argelés.
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Tratti decisamente non comuni, se si considera il dilagante
disimpegno qualunquistico che investe (e permea nel profondo) gran
parte dell’attuale produzione artistica in ambito visivo (e non
solo).
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Sarà forse per il suo essere argentina, per l’aver assistito
all’orrore inaccettabile della funesta dittatura di Galtieri, ma
sta di fatto che Gloria Argelés ha saputo sviluppare un approccio
alla scultura che indulge ben poco a liquorosità introiettive o a
sentimentalismi di maniera, propendendo piuttosto per un piglio
sociologico dai fortissimi accenti di criticità.
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E’ la borghesia, infatti, l’obiettivo prioritario della nostra
artista; è il suo essere arroccata in una difesa dei propri
privilegi, protratta ed estremizzata fino all’assoluta
cancellazione dell’identità individuale ed al cieco sodalizio coi
peggiori sistemi di potere.
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Non a caso – soprattutto nelle sculture lignee e cartacee degli
anni ’70 ed ’80 –, è proprio la deformazione espressionistica
delle fisionomie lo strumento lessicale con il quale la scultrice
pone in essere la sua analisi impietosa. E non si tratta d’un mero
linguaggio manierato, filologicamente debitore dell’Espressionismo
storico, che metta sarcasticamente alla berlina vizi e vezzi delle
elités socio-economiche (si pensi ad Otto Dix o a George Grosz);
bensì d’una declinazione di gran lunga più sottile, che sfrutta le
dismorfosi del soma per acclarare le dinamiche psicologiche (o,
per meglio dire, le inerzie) sottese all’incondizionato appoggio
offerto a qualsivoglia “potere forte” che garantisca il permanere
dello “status quo”.
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Destrutturando progressivamente i corpi – come attestato
dall’esemplare “Hombre” del 1994 –, Gloria Argelés
denuncia, con assoluta penetranza, l’inarrestabile cedimento alle
lusinghe d’un “sistema” (la dittatura, per l’appunto) in grado di
assicurare “a tutti i costi” la stabilità dell’ordine sociale. L’Hombre,
prima schizzato e poi scolpito dalla Argelés, non è però che il
preludio a quelle “H-Ombre”
(il calembour è voluto) cui la scultrice è pervenuta con
la sua attuale produzione. Ridotti a semplici sagome (realizzate
con reti metalliche traforate) agite da fasci luminosi, i
personaggi ideati da Gloria altro non sono che inconsistenti
fantasmi, la cui evanescente identità è affidata all’indistinta
apparenza dell’immagine sociale.
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Un procedimento “per levare”, questo della Argelés, che però è
assai lontano dal dettato “michelangiolesco e neoplatonico”, per
cui l’opera “completa” si ottiene rimuovendo il superfluo che
l’avvolge e la nasconde. Viceversa, è soltanto attraverso
un’estrema desolidificazione degli impianti, che pare pervenire a
pieno compimento l’enucleazione dei più profondi contenuti; e ciò
senza punto rinnegare l’idea-forma, egualmente (e paradossalmente)
definita per progressiva e sapiente riduzione della materia
plasticata.
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“Corpo” e “spessore” sono quindi conferiti esclusivamente dalla
luce; ma è una consistenza umbratile, dal sembiante totalmente
grigio e anonimo.
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Declassate a svaporanti ectoplasmi, l’individualità e la coscienza
borghese si nullificano dunque in una transitorietà che non lascia
reliquati: nient’altro che ombre, disperse nella omologazione
massificante imposta da chi “controlla” la contemporaneità.
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Fa sempre piacere vedere delle belle mostre (cosa che,
ultimamente, sembra essere sempre più difficile) e quella ospitata
in questi giorni al Loggiato San Bartolomeo a Palermo è proprio
una di queste.
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Gloria Argelés – Disegni virtuali – legni policromi, reti
metalliche, bronzi - presentata in catalogo da Salvo
Ferlito e Stefano Malatesta e curata da Francesco Paolo Molinelli,
è un’esposizione raffinata ed intelligente. Le opere dell’artista
argentina si snodano tra le rampe di scale e le sale pervadendo,
con la loro intensa forza espressiva, l’intero luogo.
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Le sue sculture, sezionate e deformate e avvolte da un’atmosfera
surreale, sono gridi di insofferenza verso una classe sociale
(quella borghese) sempre in bilico tra comportamenti e culture,
che tende sempre a mascherarsi mostrando di sé solo una facciata
che, a lungo andare, diviene più scolorita e vuota.
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Il legno prende la morbida consistenza della carne (e viceversa),
si apre, si stacca pezzo dopo pezzo svelando l’ambiguo, il nulla
nascosto. Quello che colpisce, nelle opere di quest’artista, è la
sensazione di triste consapevolezza insita in esse, quasi come se
i soggetti ritratti fossero coscienti di ciò che è la loro vita.
Troppo impegnati a correre, a mostrarsi, ad esercitare il potere,
ma consci di stare recitando un ruolo che non è quello che, in
fondo, appartiene loro.
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Ed è proprio seguendo questo senso precario dell’immagine e della
vita che Gloria Argelés si è spinta a creare i suoi disegni
virtuali: esseri umani, città, ombre portate di “costruzioni” in
rete metallica investite da un fascio di luce che prendono
l’apparente grana grigia del disegno. Scrive Salvo Ferlito: “Si
verifica così la peculiare genesi scultorea ideata dalla Argelés,
con questo schizoide dualismo fra ego ed alter ego, in cui la
proiezione virtuale appare di gran lunga più spessa e consistente
del modello preposto a incarnare l’io reale”.
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La mostra, patrocinata dalla Provincia Regionale di Palermo,
rimarrà aperta fino al 10 ottobre.
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Un'opera
precedente di Piero Guccione |
- PIERO
GUCCIONE
- Pittura
tra poesia e teatro
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- 21 febbraio
2004. Palermo Loggiato di San Bartolomeo. Ressa di persone. Si
è appena inaugurata la mostra “Pittura tra poesia e teatro”
di Piero Guccione.
- Gente che spinge
a destra e sinistra, che fa salotto davanti alle opere. Il
livello di decibel è decisamente alto, scappo per non
soffocare, attonita da quella calca di gente che va alle
inaugurazioni di mostre istituzionali solo per avere il catalogo
gratis, per farsi vedere dall’amico, dal conoscente, per dire
c’ero anch’io ma soprattutto
per approfittare dell’abbondante buffet offerto
dall’organizzazione, perché strano a dirsi, sembra di assistere,
davanti a quella tavola imbandita di ogni cosa, ad un
arrembaggio in pieno stile piratesco.
- Non mi piacciono
le inaugurazioni di questo tipo non ci vado quasi mai. (mi ci
sono trovata per caso, speravo di incontrare Tahar Ben Jelloun)
Finisce sempre che le opere, che sei andata a vedere sfidando il
traffico e trovando a forza un parcheggio per la macchina
(quando non devi sopportare il soffocamento da autobus), non
riesci proprio a vederle. Una mostra va gustata, girovagando in
silenzio e in solitudine, tra un quadro e l’altro. Se poi la
mostra in questione è di Guccione, che ha fatto della
contemplazione, dei segni dissolti nel mare di una realtà
rarefatta che si mescola al sogno, il caposaldo della sua arte e
allora tutta quella confusione non fa certo bene alla lettura
delle sue opere (anche se fa certamente piacere all’autore e
al Presidente della Provincia Regionale di Palermo
Francesco Musotto che ha ben pensato di organizzare a
Palermo l’ennesima mostra dell’artista di Scicli, forse
scordandosi che solo tra il 2000 e il 2004 se ne sono contate in
città ben quattro (tra pubbliche e private) di cui una
antologica a Palazzo Ziino.
- Ma non ci sono
altri artisti meritevoli in Sicilia oltre a Piero Guccione e a
Bruno Caruso?).
- A parte questo
non si può comunque fare a meno di notare che le opere esposte
siano dei veri e propri cammei. Chi si aspetta di trovare il
Guccione delle grandi dimensioni forse, inizialmente, resterà
deluso, poi, quando passerà in rassegna le opere, gironzolando
per i piani del Loggiato, non potrà fare a meno di rimanere
coinvolto da quel diradarsi di forme che fluttuano leggere nello
spazio e nel tempo.
- Esposti,
richiamano l’attenzione, quasi sirene ammaliatrici, i Bozzetti
per il teatro Garibaldi di Modica (che comunque si conoscono
molto bene) così come i pastelli per alcune opere teatrali e
poesie.
- Nelle pareti
spiccano deliziosi apré da: Benvenuto Cellini, Leonardo Da
Vinci, Luchino Visconti, Michelangelo, Caravaggio, Francesco
Hayez etc.
- Intimi, caldi e
sensuali i pastelli per “Tristano e Isotta” di Richard
Wagner, o cupi, stellari e quasi protesi verso infinite
profondità quelli di “Norma” di Vincenzo Bellini, o leggeri
e crudeli quelli per alcune poesie di Soavi.
- Guardare
un’opera di Guccione è arrendersi al divenire del tempo che
tutto logora e tutto trascende, perdersi nel fuoco ottico di un
momento e dissolvere il proprio orizzonte reale per cercare
nuovi approdi.
- Cinema, teatro e
poesia in questa mostra vengono raccontati e bloccati in istante
eterno.
- La mostra si
concluderà il 17 marzo 2004,
ingresso libero. Testo in catalogo di Tahar Ben Jelloun e
una prefazione di Francesco Musotto. cat. Il Cigno G.G. Edizioni
Roma, pag 115 ill. a colori € 25,00
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- VINCENZO NUCCI
- Di questi antichi suoni
- VINCENZO
NUCCI Di questi suoni Antichi al Loggiato di San
Bartolomeo fino al 20 gennaio (di salvo ferito)
- Quella
di Vincenzo Nucci è una Sicilia profonda ed assolutamente
autentica nella sua esuberanza naturale. E, pur tuttavia, è
tutt’altro che una gradevole Sicilia da cartolina, ponendosi
agli antipodi rispetto al modello “souvenir” consegnatoci da
tanta (troppa) pittura di maniera del passato e del presente.
- Vincenzo Nucci
pare, infatti, possedere – a differenza di tanti altri
artisti, siciliani e non – una rara e non comune capacità di
empatizzare col contesto circostante, colloquiando intimamente
col paesaggio ed enucleandone la forza emozionale che lo anima,
per poi trasferire questo intenso distillato sui supporti
prediletti (carta e tela). In tal senso, la connaturata
inclinazione a cogliere con sintetica e istantanea efficacia
coloristica – ma senza indulgere a stucchevolezze o a
leziosismi – quel misto di forza e di beltà che anima,
ancor’oggi, il pur oltraggiato paesaggio insulare, ne fa – a
buon diritto – un legittimo epigono delle migliori tradizioni
“impressioniste”, cui lo legano – d’altronde – anche
le tecniche, ed in particolare l’uso dei pastelli.
- Ne deriva, che
in tutte le sue opere la natura siciliana palpiti di quei
fremiti emotivi e – al contempo – luministico-cromatici dei
quali è impregnata e ribollente; e ciò in virtù d’una
stesura vibrante e sfrangiata, in grado di catturare alla
perfezione – tanto nei pastelli, quanto negli oli – ogni
minimo scarto di luce e di colore, restituiti così al
riguardante in tutto il loro “mood” impetuoso e
coinvolgente.
- Un’operazione
compiuta senza scadere in alcuna ricerca di piacevolezza e
rifuggendo da qualsivoglia “incipriamento”, ma piuttosto
optando per una resa scabra e quasi graffiata, che dà l’idea
d’un sofferto processo esecutivo, capace di assorbire in toto
la psiche e il soma dell’autore. Infatti, ad onta della
derivante cadenza aeriforme e quasi trasognata (con suadenti
effetti ottici da “fata morgana”), la sua pittura deve
l’amalgama perfetta che la caratterizza soprattutto ad una
peculiare dialettica tonale, ottenuta attraverso un insistito
gioco di decisi e azzeccatissimi accostamenti timbrici. I gialli
delle messi, le azzurrità dei cieli, il verde della
vegetazione, le ocre dei casolari si confrontano così in un
variegato accostamento e grazie ad un frenetico tratteggio,
dando luogo a un modulo espressivo di assoluto incanto visuale
– pur nella sanguigna vis delle immagini – che costituisce
una impareggiabile cifra stilistica e lessicale.
- Proprio per
questo, Enzo Nucci è probabilmente l’artista che, al giorno
d’oggi, sa rappresentare meglio di chiunque altro la terra di
Sicilia; e ciò in virtù d’una incomparabile opera di
trasfigurazione del reale, del quale ci sa restituire appieno la
termica affettiva, però (e fortunatamente) depurata d’ogni
inutile ridondanza e cascame retoricamente mediterraneistici.
- I suoi notturni,
i suoi affocati e sciroccati paesaggi, le sue beneamate palme, i
suoi fantasmagorici e desolati casolari sono intrisi d’un
sentimento e d’una poeticità spesso più penetranti e
coinvolgenti di quelli riscontrabili in tanta pittura, non solo
contemporanea ma anche ottocentesca e d’inizio novecento (che
pure sono considerate la massima espressione del paesaggismo
siciliano), a dimostrazione di come un genere – già
ampiamente sviscerato – possa essere riportato ad altissime
vette, quando si è dotati di una ispirazione e d’una
ideatività di non comune valore e levatura.
- Con
questa sua antologica, Nucci si conferma, dunque, pittore
d’eccellenza nel panorama artistico insulare (ed anche oltre), nonché
qualificatissimo ambasciatore della nostra isola, al quale è
doveroso formulare un “grazie” per quanto fin ora ha
realizzato e per quanto ancora ci saprà donare.
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La
mostra è stata curata da Aldo Gerbino
- Dal 20 dicembre 2003 al 20
gennaio 2004
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- RENATO MAMBOR
- - LOSSERVATORE -
- ANNI NOVANTA
Visitando in questi giorni, il Loggiato San Bartolomeo a Palermo, si è
colti da una sensazione repulsiva e precaria.
Il silenzio avvolge le opere ivi esposte e lallestimento di queste, ora caotico ora
rado, aumenta ancora di più la sensazione di insoddisfazione dellosservatore.
Non ho usato questo termine a caso. "Osservatore", infatti è il titolo dato
alla mostra di Renato Mambor che fino al 14 luglio con orario dalle 10.00 alle 19.00, si
può visitare presso il Loggiato suddetto. Un titolo abbastanza "interattivo"
poiché di categorie di osservatori, in questa esposizione, ve ne sono ben tre. Di questi
il primo fra tutti è, ovviamente, lartista (come egli stesso sottolinea) o meglio
il suo "sguardo" la sua idea e memoria; il secondo è la sagoma reale, a volte
dipinta altre volte ritagliata, ricorrente in tutta la mostra; il terzo è rappresentato
dal pubblico, spettatore di una vita e di un processo mentale che non gli appartiene. Come
Mambor stesso scrive: "Losservatore (me medesimo) si staglia uscendo dal
quadro. La percezione lo anticipa come una figura sullo sfondo. Tra losservatore e
la cosa osservata la percezione avverte per primo losservatore come figura
responsabile di ciò che accade visivamente".
Ecco dunque sagome stazionare nei saloni del Loggiato, posizionate a "guardare"
un quadro, unistallazione, un panorama o inglobate nel quadro stesso come momento
unico e indivisibile tra il visto e il vedente.
Tra le opere esposte vi è anche "circolare" del 1995 una composizione formata
da sei pannelli di cm 210 x 70, posizionati a formare, quasi, una specie di zootropio
immobile che capovolge il procedimento della visione di tali oggetti poiché, questa
volta, è losservatore che mette percettivamente in movimento la struttura
ruotandole attorno.
Considerando che di questo artista ben conosciamo la produzione, non possiamo fare a meno
di ritenerci un po delusi dalloperazione svolta.
Sarà lo spazio utilizzato, che non sempre è adatto a tutte le mostre, ma lì dentro le
opere di Mambor soffocano sopravaricate dalla mancanza di quadratura.
E il caso di "sole araldico", costretto tra i "pilastri" della
stanzetta del piano terra o de "i viaggiatori" che risultano privati della loro
propulsione emotiva e spaziale.
Per finire parliamo un po del catalogo, contenente una presentazione di Francesco
Gallo, che riproduce un vasto repertorio iconografico, a dispetto delle opere realmente
presenti in mostra, guastato da parecchi refusi di stampa; e delle etichette descrittive
delle singole opere che, a volte, portano errori e non sempre sono esaustive per la
cronologia.
La mostra organizzata dallAssociazione Culturale Mercurius di Palermo, è solo la
prima di una serie che vedrà, come prossimo appuntamento, un'esposizione dedicata a Tano
Festa.
Palermo, 29.06.2002 |
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