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- “Lo spirito “quieto” nel paesaggio di
Aurelio Caruso”
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fino al 10 aprile 2003
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Credo sia riduttivo parlare
dei quadri di Aurelio Caruso incasellandoli nel termine
paesaggi. Difatti, pur rappresentando dolci pendii, cieli
azzurri, folte siepi e nuvole grigie, Caruso si distacca
da ciò preferendo incentrare la propria attenzione
sull’aspetto più intimo che uno spettacolo del genere può
generare.
Le opere di questo artista, se si volesse procedere per
classificazione, potrebbero definirsi figurative
nell’aspetto e completamente astratte nell’intenzione.
I cieli, ora limpidi e accecanti ora plumbei, riflettono
il suo spirito, quello della sua terra, la Sicilia, isola
in cui si “sollevano” dolci colline che sembrano ricoperte
di velluto, ora verde ora marrone, e in cui tutto è un
morbido ombreggiare che sembra accarezzare lo sguardo
dello spettatore. Vagando in questi luoghi ecco, dietro un
colle, apparirne un altro e poi un altro ancora come se le
onde del mare si ripercuotessero sulla terra ferma, nella
parte più intima di quest’isola.
I colli di Aurelio sono di leopardiana memoria dove sì è
descritta una situazione di fatto ma la mente si perde
nella sua contemplazione. Il suo infatti è un andare oltre
le apparenze una rarefazione di ciò che è reale per
puntare a bene altri approdi. Un orizzonte non è mai ciò
che sembra, per quanto si faccia esso rimane
irraggiungibile e a noi resta solo di poterlo contemplare.
Un paesaggio, con i suoi orizzonti e la sua
stratificazione di eventi svolti in esso, è l’espressione
più alta del pensiero; è un narratore che non ha bisogno
di parole per potere comunicare emozioni.
Sono sempre stata convinta che ognuno di noi lasci, nei
posti che ha visitato, una parte di sé, un pensiero, un
turbinio di energie, segnando, anche se
impercettibilmente, il luogo. Quando parlo di
stratificazioni è questo quello che intendo, e forse
quella macchia rossa visibile nei quadri di Aurelio è
proprio questa manifestazione di noi.
Più volte, soffermandomi sull’opera di questo artista, mi
è capitato di indicarne i lavori come paesaggi della
memoria proprio per questa loro carica mnemonica.
Incredibilmente egli riesce a trasmettere nelle sue
visioni non l’oggetto in sé ma questo aspetto impalpabile
del tempo e delle “umane cose”; dà voce al silenzio, a
tutte le cose che generalmente ci parlano ma che noi non
ascoltiamo più: i raggi del sole che avvolgono il nostro
corpo, il borbottio lontano delle nuvole, i fruscio del
vento tra le foglie e soprattutto il nostro essere più
profondo.
In un mondo pittorico in cui l’uomo è indiscutibilmente
presente, se pur solo come emanazione psichica, la natura
si compone in alberi, cespugli che si liquefanno col
calore e con l’impregnante umidità che entra nelle nostre
ossa. In questo modo il paesaggio assurge a territorio
universale perdendo le sue connotazioni fisiche e
liberandosi in astrazioni eteree. Caruso, artista
mediterraneo ed europeo, con un gioco di colori che molte
volte tende a sfiorare la bicromia, si libera dagli
stereotipi dell’artista siciliano. La sua pittura ha un
respiro più vasto, parla di cose lontane nel tempo e nello
spazio lasciando la mente perdersi in orizzonti di cui non
conosciamo la fine, vagando tra le pagine di un libro e
tra le righe de l’infinito leopardiano a lui così vicino.
Orario visite per la mostra: dalle 10.00 alle 13.00 e
dalle 15.30 alle 19.00
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