MULTIVISION? Van Gogh Alive  
 
 
Uno sparo assordante rimbomba nell’aria, un volo inaspettato di corvi tinge il cielo di nero… il grano dorato fa avanti e indietro, quasi accompagnasse - con un andamento sincopato - il destino “beffardo” di quella mattina. È il 27 luglio 1890, e la tragedia si è appena consumata. Io non sto guardando un film sulla vita di Van Gogh e non sono comodamente seduto sulla poltrona di un cinema, sono accovacciato per terra insieme a tante altre persone, attonite anch’esse, immerso in un’atmosfera surreale, dentro la scena virtuale di un quadro. L’opera, in realtà, non c’è, ma mi avvolge, frantumata in decine di schermi giganti che mi sovrastano da ogni parte. Guardo i girasoli, un immenso schianto di giallo che mi condiziona emotivamente. Una voce fuori campo mi parla. Ancora, i cieli notturni cominciano a muoversi, roteando su dei perni infuocati, portando con sé fasci di luce fluidi. Adesso è un nuovo giorno, e i campi di grano si muovono in un’immagine filmica – a metà dell’orizzonte – lasciando che l’altra metà dell’opera si apprezzi in originale, ferma. Ma non c’è tempo d’immergersi in quella calma apparente che iI treno sulle rotaie comincia a stridere, il mare, pervaso dal vento, entra in burrasca e le pale dei mulini iniziano un moto vorticoso, quasi ipnotizzante. Il ritmo è incalzante, imprevedibile. Senza accorgermene mi sono seduto su una quantità indescrivibile di fogli: sono le lettere di Theo e Vincent, l’anima del loro pensiero sull’arte e sulla vita. L’ultimo effetto scenico, pienamente convincente, è la lunghissima e gigantesca pennellata che, partendo dalla sinistra, sta per avvolgermi. Procede, attraverso gli enormi schermi, portando luce e vita, squarciando il buio della notte per dare nuova speranza: “Sogno di dipingere e poi dipingo il mio sogno” (Vincent Van Gogh).
Consideriamo i nuovi ruoli dell’artista e del fruitore. L'arte tecnologica e interattiva libera il prodotto artistico dalla sua condizione di "hic et nunc", e dal suo "valore espositivo", che rendono l'opera unica, irripetibile, lontana dalla utilizzazione diretta del pubblico, una specie di feticcio da osservare a distanza. Più specificamente, muore il significato di elemento originale e intoccabile. Ogni utente è così invitato a vivere una personale esperienza psicosensoriale, confrontandosi e interagendo con la creazione artistica, che, nel nostro caso, è virtuale, molteplice e mai uguale a se stessa. Si apre e assume le caratteristiche in divenire, del non-luogo fisico. L’opera come contemplazione perde ogni significato, si evolve in altre forme, crea le condizioni per un evento in cui lo spettatore – trasportato in un luogo “altro” - s’immerge nell’esperienza sensoriale. L’arte interattiva richiede adesso un nuovo tipo di fruizione: il pubblico può interagire con voce, posizione e movimenti del corpo, stando fermo o vagando con la mente. In ogni caso, lo spettatore diventerà un agente-reagente e l’esperienza estetica coinciderà con lo stimolo ad agire. Nella simulazione virtuale, quindi, i meccanismi fisiologici dei sensi rimodelleranno il reale e attueranno una vera e propria esplorazione critica. Occorre considerare che l’arte è, per sua natura, interattiva e crea rapporti. Per millenni si è relazionata attraverso la vista, il senso più vivo e ricettivo (e il più ingannevole, dicevano gli antichi) dell’essere umano. La percezione si è evoluta negli ultimi decenni del Novecento, di pari passo con il procedere di situazioni storico-economiche e sociali – in generale – ridefinendo l’identità dell’opera d’arte. In riferimento alla varietà di orientamenti che indicano la “limitatezza” del quadro, delle gallerie e dei musei, come campo delle esperienze, si ricerca adesso un più diretto, immediato ed effimero legame tra arte e vita, offrendo un orizzonte di ricerche che privilegi il coinvolgimento polisensoriale ed emotivo dello spettatore, inebriandolo nel corpo e nella mente. Sono messi in campo – oltre la vista - il tatto e l’udito, un elaborato sistema di segni e di nuove relazioni percettivo-comunicative che attrae e affascina lo spettatore coinvolgendone, in un’unica esperienza, tutte le articolazioni sensitive. Nascono, così, azioni, eventi e ricerche di nuove e diverse modalità di comunicazione estetica: happening, performance, installazioni e movimenti come Body art, Fluxus e Postmoderno, che impongono un’interazione di tipo nuovo e che avvengono in tempo reale. Una sorta di consumo dell’arte, di spazi alternativi e insieme fluidi, in cui il senso e il funzionamento dell’opera sono strettamente legati alla presenza di pubblico che, attraverso una nuova percezione sensitiva, dà risposte a volte imprevedibili. I luoghi sono impianti spazio-temporali ibridi, artificiali e interconnessi, dove gli schermi proiettano immagini attraversate da luci e suoni che attirano l’attenzione sulla dimensione multicentrica dei monitor, creando dinamismi e rimandi percettivi. Nel rapporto immagine-corpo-sguardo s’inseriscono le potenzialità interattive della tecnologia digitale e l’arte diventa riproducibile e frammentaria, usufruibile collettivamente nella sua valenza caleidoscopica. L'opera, non appartenendo più all’artista, è filtrata dai vissuti individuali della collettività, caratterizzata dal livello esperienziale di tutti quelli che la utilizzano e resa dinamica e fluttuante. Diventerà l’oggetto fluido del nostro corpo-mente, implicando un’esperienza partecipativa, psichica e fisica insieme, attivando circuiti di senso carichi di energia. Itsuo Sakane, critico d’arte giapponese, individua le origini dell’arte interattiva nella seconda metà degli anni Sessanta. In questo periodo si realizzano le prime esperienze d’interfaccia artistica con connotazioni sensoriali tra l’uomo e il computer in cui s’inserisce la ricerca di Myron W.Krueger con Glowflow prima, e Spazio psichico poi. Ma sono tantissimi i riferimenti storici che hanno introdotto la “sensibilità interattiva” di oggi. Tra quelli più a ridosso dell’esperienza contemporanea ricordiamo l’Arte cinetica in cui era necessario l'intervento del fruitore, invitato ad operare una scomposizione dell'opera: nel caso di Oggetto a composizione autocondotta (1959) - di Enzo Mari - gli spostamenti operati dagli spettatori facevano variare disposizione a forme geometriche racchiuse entro un contenitore di vetro. L'opera d'arte assumeva vita propria e il suo "vivere" si fondeva con quello del fruitore. Nell'Optical art - degli anni '60 – lo spettatore-reagente era invitato, ad una collaborazione psichica per percepire gli effetti ottici e le illusioni percettive che le opere generavano, e ad uno spostamento dinamico per avere la loro migliore visione prospettica. Pur non sottovalutando l’esperienza più eclatante dell’ungherese Victor Vasarely, l’italiano Gianni Colombo – con la sua opera Spazio elastico (1968) - presentava un ambiente palpitante, coinvolgendo lo spettatore con tracciati immaginativi che venivano percepiti diversamente da persona a persona. Un altro aspetto che vale la pena considerare è il rapporto arte-gioco all’interno dei processi informatici, che accentua la componente persuasiva e seduttiva dell’immagine-evento. L’elaborazione di un sistema di segni e di nuove relazioni percettive in tale direzione porta le immagini ad una fascinazione di tipo nuovo, che assume i connotati di un’esperienza legata alle articolazioni di processi sensitivi fisici complessi; più che allo sguardo soltanto, all’azione totalizzante. Il rapporto simulativo arte e gioco ha radici profonde e diramazioni diverse che sarebbe troppo lungo analizzare e definire. Nel 1823, Quatremère de Quincy definiva l’illusione della pittura “gioco dell’imitazione” e ne stabiliva limiti e confini, in seguito, il Futurismo, Dada e Picasso, sovvertiranno quei limiti e quei confini inventando il gioco dell’infrangere, dissacrando le regole dell’arte, inventando tutto e il contrario di tutto. Il gioco è un elemento caratterizzante dell’arte interattiva cui l’individuo prende parte liberandosi dalle convenzioni, una forma primaria d’interazione strutturata da regole e simboli, che stimola la comunicazione, l’immaginazione e l’apprendimento, producendo situazioni ed eventi. E’ in questo contesto che l’individuo – da solo o collettivamente - esplora gli spazi, gioca con gli oggetti e i suoni, insegue il filo d’Arianna della propria curiosità e delle proprie emozioni, attraverso un personale percorso di senso. Occorre quindi rendersi conto, che il livello statico della visione di un’opera d’arte è, sì, un punto di partenza, ma non necessariamente un punto di arrivo. Dipende da quale livello si preferisce partire e arrivare, quanto si è disposti a farsi contaminare, a mettersi “in gioco” con l’opera d’arte. Oggi potrebbe non essere sufficiente osservare: s’intende che parliamo di opere d’arte del passato che possono essere lette in maniera differenziata, e non di opere d’arte contemporanee, figlie del tempo, che nascono, crescono e si riproducono in digitale e che appartengono ad un'altra categoria.
Lo studio dell’opera d’arte, fin dall’inizio, dovrà procedere su più binari contemporaneamente, filtrando le varie tipologie di approccio – lo studio tradizionale, la letteratura, la drammatizzazione, l’applicazione dei software e la lettura multimediale – attraverso diversi livelli di conoscenza. Ogni buona sperimentazione,  sul campo, terrà conto di livelli differenziati per riuscire ad operare per input e in progress. Sarà questa la strada del futuro. Bella o brutta che sia, ci si dovrà abituare a trovare più chiavi di lettura contemporaneamente, operando su versanti opposti, multipli o differenziati, e lo spettatore – agente-reagente – parteciperà all’evento alternando le sponde, assaporando il silenzio e la meditazione, ma anche il coinvolgimento emotivo. L’una non potrà (né dovrà) escludere l’altra. La loro integrazione formerà la personalità del cultore asettico. 
Fabrizio Costanzo                                                                                                                                                                   Roma, Palazzo degli Esami – dicembre 2016
   
    
 
 
 

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