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- Galleria
Sarno
- Via Emerico Amari, 148 -
Palermo
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GINO MORICI
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L’ideatore irrequieto
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Due luoghi, una mostra: un
genio a Palermo. L’ampia retrospettiva dedicata a Gino
Morici alle gallerie Corimbo (di via Principe di Belmonte
12) e Sarno (di via Emerico Amari 148) dal 25 maggio al 16
giugno.
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Un
itinerario artistico all’insegna della perenne
irrequietezza. Un continuo peregrinare fra generi e
linguaggi – quello che ha contraddistinto Gino Morici – in
grado di mappare fedelmente non solo il singolo profilo
dell’autore, ma di ergersi a puntuale regesto di quanto
accaduto nelle arti visive siciliane durante il ‘900.
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Grafico, pittore, scenografo,
costumista, arredatore, Gino Morici è stato artista
versatile e completo, capace di effondere la propria
ideatività e sviluppare il proprio gesto in maniera
multiforme, però sempre con una resa di notevole inventiva e
raffinata qualità.
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Il vasto corpus delle sue
opere su carta (dai semplici schizzi e divertissement fino
ai dipinti completi o ai progetti dettagliati) costituisce
per tanto una testimonianza di rilevante valore, atta a
ricostruire con accuratezza i suoi personali nomadismi e ad
inquadrare il suo operato nella convulsa temperie del secolo
trascorso.
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Pur nella fedeltà al verbo
figurativo, Morici è stato fra quegli artisti isolani
realmente capaci di cercare e trovare moduli espressivi
fattivamente innovativi, e in quanto tali non più ossequiosi
nei confronti d’una tradizione veristica ormai percepita
come vieta ed obsoleta.
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Proprio i disegni giovanili di
fine anni ’20 inizi anni ’30 rivelano un’attenzione per le
novità novecentiste di matrice casoratiana (come nel
melancolico e assorto menestrello de La follia del
1928 o nell’ascetico e ripiegato San Francesco del
1932) o per certe suggestioni di ascendenza espressionista
(riferibili alla grafica di Grosz e Dix o alla
cinematografia di Lang, come nell’inquietante scena
d’omicidio de La piazza) decisamente in
controtendenza rispetto al prevalente conformismo estetico
insulare e piuttosto in linea con quanto in atto nel
panorama nazionale e in quello centroeuropeo.
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Non una semplice imitazione di
dettami visuali provenienti dall’esterno, ma una sentita e
compiuta capacità di fare propri dei nuovi strumenti
lessicali, filtrandoli attraverso la personale sensibilità
ed impregnandoli d’una peculiare cifra stilistica.
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Il tipico linearismo (dal
segno nevrile e guizzante), il sapiente tonalismo delle
cromie (dalle articolazioni dei toni seppia della giovanile
fase “casoratiana” alle policrome liquefazioni quasi
informali della tarda produzione botanica e paesaggistica),
la pungente ironia delle narrazioni (ben percepibile nel suo
dandistico Autoritratto col gatto o nella serie degli
Hidalgos con la loro specifica carica di proiezione
soggettiva) sono tutti connotati stilistici che hanno
tipizzato l’agire di Morici, emancipandolo da discepolati
schematici ed acritici e rendendone a pieno la singolarità
psicologica e la cifra di eccentrico protagonista.
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Artista completo e al contempo
fuori dalle righe, “classico” (di quella “classicità” che è
pertinente a chi padroneggi totalmente le tecniche e i
linguaggi) e tuttavia “infrattivo” (per quella insofferenza
per l’ovvio e il déjà vu che caratterizza gli ingegni
liberi ed irrequieti), Gino Morici è senza dubbio una delle
personalità più rilevanti della temperie artistica isolana
dell’intero ‘900, degna non solo d’una generica riscoperta,
ma d’una capillare e attenta valorizzazione, che possa
infine restituirle il ruolo che le spetta nella storia.
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Un paradigma cui guardare
attentamente ancor oggi, senza la lente distorsiva delle
mummificazioni museali o delle pedestri manovre di mercato,
per far comprendere a fondo che cosa significhi essere un
vero artista, perfettamente calato nel flusso della propria
attualità.
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Salvo Ferlito
(maggio 2012)
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