OMAGGIO A GIL ELVGREN
Una mostra insolita e singolare all’insegna della levità e della gaiezza.
 
 
Gusto per l’ironia e senso dell’umorismo. Decisamente merce rara al giorno d’oggi, in cui il pathos ostentato, l’intellettualismo gravoso, il sociologismo di maniera e lo psicologismo da salotto, non di rado, la fanno da assoluti padroni nel vasto panorama delle arti visuali (e più in generale delle attività artistiche). Tuttavia, è sufficiente un buon “innesco” o una congrua “sollecitazione”, perché queste rare doti – troppo spesso ed erroneamente ritenute non all’altezza d’un qualitativo gesto artistico – riescano ad affiorare pienamente, dimostrandosi del tutto compatibili con narrazioni per immagini di convincente espressività. Poi, se il riferimento (o, come detto, l’innesco) prescelto è il lavoro di un autentico mattacchione, come Gil Elvgren (l’illustratore e pubblicitario americano, padre delle pin up, che negli anni ’40 e ‘50 del ‘900 dette forma a un immaginario erotico improntato ad ilare e gaia sensualità), è assolutamente giocoforza che degli artisti d’oggigiorno, chiamati a confrontarsi dialetticamente con le sue opere, finiscano col liberare (e manifestare) una non comune vis umoristica, rivelando una coerente capacità di “giocare” con l’eros e il corpo femminili, senza però mai scadere in corrive descrizioni o indulgere a facili volgarità.
L’Omaggio a Gil Elvgren, organizzato dalla galleria Studio 71, altro non è – quindi – che uno “stimolo” (o forse una “provocazione”) atto a canalizzare l’immaginario degli artisti coinvolti – Liana Barbato, Aurelio Caruso, Anna Kennel, Tiziana Viola Massa e Rosanna Randazzo – nell’alveo cogente d’un erotismo al contempo brioso e sensuale, che abbia nella divertita e divertente ostentazione delle grazie muliebri il proprio fulcro  e centro irradiatore.
 
Se in Aurelio Caruso – stranamente l’unico uomo partecipante a questa mostra – e in Rosaria Randazzo l’approccio visuale ha maggiormente i connotati dell’allegra e accurata citazione, in Anna Kennel e ancor più in Liana Barbato e in Tiziana Viola Massa il dialogo coll’artista americano tende invece a svilupparsi più liberamente nei termini dell’autonoma rivisitazione e della personale rielaborazione. Quasi filologica la Randazzo coi suoi gradevolissimi disegni e con le sue provocanti sculture in terracotta policroma (una serie di scollacciate figurine femminili all’altezza della prescelta fonte d’ispirazione), decisamente narrativo Caruso coi suoi tableaux a stencil (in cui copie conformi delle provocanti fanciulle di Elvgren si trovano ad interagire con l’autoritratto del pittore palermitano in situazioni “classiche” del tipo “medico-sporcaccione” con “paziente-seduttiva”), in itinere la Kennel fra la divertita riproposizione dei “modelli americani” e la loro totale e assoluta reinvenzione (nella serie di splendide pietre dipinte, annoveranti tanto “visetti” di ragazze sovrapponibili a quelli delle donnine di Elvgren, quanto fantasiosissime e peculiarissime “testine” femminili dai vivaci e polimaterici copricapi), più in linea con una visione attualizzata la Viola Massa (le cui procaci bellezze, accesamente dipinte su tela, rappresentano un certo modo “contemporaneo” di esplicitare la sensualità muliebre) e infine meno esuberante e più intimista la Barbato (i cui nudi appaiono dipinti con modalità più evanescenti e visionarie, quasi si trattasse di sogni o apparizioni), sta di fatto che i cinque partecipanti a questa singolare collettiva si rivelano tutti dotati (seppur in varia misura) d’una evidente verve ironica, e conseguentemente all’altezza di dar luogo a degli articolati divertissement visuali in grado di allietare e rallegrare con la loro percepibile e gioiosa levità.
Gaiezza e leggerezza, dunque, a fare da irretente filo conduttore ad una esposizione decisamente singolare e a ricordare che l’arte può essere (e dovrebbe essere più spesso) anche una piacevole e qualitativa occasione di svago e di divertimento; e senza che ciò implichi necessariamente alcuna caduta di stile o lo scivolamento nel più vacuo e irrilevante sciocchezziario.
La mostra, ideata da Marcello Scorsone e curata da Vinny Scorsone, allestita alla Galleria Studio 71 di Palermo dal 18 gennaio al 23 febbraio, sarà ancora visibile dall’1 al 28 marzo al Palazzo della cultura di Sant’Angelo di Brolo.

Febbraio 2014 - Salvo Ferlito

 

 
 
OM BOSSER
HIKIKOMORI, coloro che vivono rintanati in casa
 
Un’accurata disamina dell’alienazione umana posta in essere attraverso l’occhio “clinico” delle arti visuali. Una vera e propria “casistica” – quella elencata da Om Bosser, che non per niente è medico e per di più studioso di psicoanalisi – in grado di offrire una puntuale panoramica su quelle dinamiche di distacco e decontestualizzazione dall’ambito collettivo che paiono ricorrere con sempre maggior frequenza nella nostra società.
Non è un caso, quindi, che la mostra di opere dell’artista torinese, ospitata alla galleria Studio 71 fino al 14 maggio, sia intitolata Hikikomori (coloro che vivono rintanati in casa), in quanto riferita a quell’allarmante (e patologico) fenomeno di auto-confinamento entro le mura domestiche che va diffondendosi, a mo’ di incontrollabile infezione, nello spersonalizzante tessuto urbanistico e sociale delle metropoli nipponiche.
Frutto di un crescente sentimento di inadeguatezza alle difficoltà della vita relazionale, spesso alimentato da forme di insensato bullismo o di esasperata competizione, lo Hikikomori, pur essendo connotato da un radicalismo e da un estremismo tipicamente giapponesi, è tuttavia un preoccupante paradigma di quei processi intrapsichici di rifiuto della realtà circostante ormai in fase di inarrestabile espansione in tutti quei paesi più avanzati ove i ritmi della vita quotidiana (cosiddetta “produttiva”) vanno acquisendo cadenze sempre più incalzanti.
Singoli individui, raffigurati in una dimensione di assorto ed alienato solipsismo, costituiscono – per tanto – la peculiare galleria di soggetti esemplari, eletti da Bosser a metafora compiuta d’una condizione esistenziale di progressivo scollamento dal mondo intorno a sé e di disadattamento alle cogenti meccaniche della socialità.
Isolati in uno stato di afasica incomunicabilità, lo sguardo fisso verso gli osservatori o perso in direzione d’un altrove non meglio definito, talora abbandonati in un sonno indifeso o in una nudità incurantemente ostentata, i personaggi effigiati “fotograficamente” da Om Bosser (con un procedimento basato sulla trasposizione su tela, tramite computer, di piccoli e dettagliati disegni o di vere e proprie fotografie) si ergono – dunque – a “casi” conclamati d’un disagio e d’un malessere dal difficile (e forse impossibile) trattamento terapeutico.
A metà strada fra la denuncia civile e la rassegnata presa d’atto, questa serie di opere realizzate da Bosser costituisce comunque la compiuta espressione della capacità (e in fondo anche della necessità), per ogni artista degno di tal appellativo, di calarsi nel flusso dell’attualità, senza eluderne gli aspetti più controversi, inquietanti ed anche sgradevoli. Un documento – questo elaborato dall’artista torinese – in grado di rappresentare fedelmente lo spirito del tempo o – più rassegnatamente – il miserevole stato delle cose.

Maggio 2011 - Salvo Ferlito

 

 
 
Dal 2001 al 2007 la Galleria Studio 71 di Palermo è stata convenzionata con Pittorica.it.
Si riportano di seguito le recensioni delle mostre effettuate di anno in anno dai Critici d'Arte accreditati sul portale. Cliccare sul tasto indicante l'anno per visualizzare le relative recensioni.