LIBRERIA  "UNIVERSITAS"
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OMAGGIO A DON CHISCIOTTE

Confrontarsi con un topos dell’immaginario collettivo – quale è il Don Chisciotte di Cervantes – costituisce, per qualsiasi artista dedito alle arti visive, non solo un cimento problematico e assai arduo, ma addirittura un vero e proprio sconfinamento in un pericolosissimo campo minato.
Basti qui ricordare – per fare qualche esempio illuminante – che su questo personaggio fondante e costitutivo d’una intera e articolata “visione del mondo” – il “donchisciottismo”, per l’appunto, che è divenuto, nei secoli, un autentico sistema categoriale e modello referente, in grado di fungere da principio guida per tutto un modo di concepire l’essere ed esistere – si sono espressi sommi artisti quali il Dorè (autore d’un possente apparato iconografico preposto ad illustrare il testo di Cervantes) o Pablo Picasso (capace d’un puro distillato di “hispanidad”) o – più di recente e in ambito cinematografico – l’altrettanto grande Orson Welles (artefice d’una serie di dissertazioni mai condotte però, com’era nel suo stile, a pieno compimento) o ancora – per fare dei riferimenti a noi ben più vicini – i nostri Bruno Caruso e Nicolò D’Alessandro (che proprio in ambito grafico hanno saputo apportare un ulteriore e significativo contributo alla riflessione operata su tale monumento della narrativa).
Tuttavia (e ciò non di meno) un siffatto corpus visuale – ormai eletto al rango di autentica e indiscussa tradizione – non ha intimorito più di tanto Rosario Trapani e Giovanna Calabretta, i quali si sono avventurati, senza alcun timore reverenziale e con sentita partecipazione psico-affettiva, sul terreno della traduzione visiva del personalissimo rapporto intrattenuto con Cervantes e col suo “prototipico” anti-eroe, riuscendo a pervenire ad un insieme di immagini di forte impatto ottico e di alta termica emotiva.
Più gestuale e subitaneo Trapani – ma non per questo meno empatico ed attento nell’approccio al personaggio –, più pausata e misurata Calabretta – senza che ciò implichi alcuna inibizione o mancanza di spontaneità –, i due pittori (ormai cooperanti a tempo pieno) sono riusciti a dare forma e contenuto al “loro” Don Chisciotte, fornendo un ampio corollario di varianti e sfumature tutt’altro che banali o ripetitive.
Percepito e vissuto non come mera evoluzione (o involuzione) caricaturale dell’eroe cavalleresco (di Lancillotto o Orlando, per intendersi), e quindi come rovesciamento di quest’ultimo nel suo “giullaresco” opposto speculare (con una inversione dell’alto verso il basso), ma quale palese incarnazione d’una energia ideativa e operativa che nel travalicamento del reale trova la sua dimensione più congrua e suggestiva, il Don Chisciotte di Trapani e Calabretta si configura – per tanto – come compiuta rappresentazione delle loro individuali proiezioni ermeneutiche e soprattutto come obbligata risposta soggettiva (riverberata sullo stralunato hidalgo) alle proprie incoercibili esigenze di “fuga dal contesto”.
L’evidente “mortificazione delle intelligenze” che l’attuale stato delle cose induce negli uomini (e maxime negli artisti) forniti di maggiori doti simpatetiche e intuitive – non meno di quanto sicuramente accadeva ai tempi di Cervantes – spiega ampiamente il motivo d’una scelta – quella del Don Chisciotte – che risponde senza dubbio a impellenze personali, ancor prima che a presupposti di natura prettamente estetica o di ricerca e sperimentazione tecnico-linguistica.
L’adozione d’un tal soggetto non è dunque il semplice pretesto da cui muovere verso esplorazioni o avventure di tipo lessicale, ma piuttosto è l’espressione di bisogni assai profondi, della cui esplicitazione le scelte di linguaggio non sono che una debita e inevitabile funzione.
Non è un  caso, per tanto, che i moduli espressivi adottati dai due autori si rivelino non del tutto univoci – benché riconducibili a ben chiari referenti – e che le molteplici declinazioni visuali poste in essere appaiano anche difformi e variegate nei loro peculiari andamenti di carattere esteriore.
Se in Giovanna Calabretta pare prevalere un più circoscritto rapporto con la tradizione – ravvisabile nel “classico” impianto ritrattistico del busto di Don Chisciotte, nonché nella piccola ed eterea sculturina in fil di ferro che quasi sembra un tratteggio fatto a penna –, in Rosario Trapani (autore della maggior copia di opere in esposizione), viceversa, la relazione coi modelli di riferimento del passato più prossimo e remoto si profila con connotati ben più tumultuosi e marcatamente dialettici – come rivelato dalle svariate e non omogenee descrizioni dell’attempato hidalgo –, sì da condurre ad una caleidoscopica molteplicità di esiti visivi.
Talora delineato con una sintesi formale di scarna estremità, talaltra ricorrendo a un tratteggio fortemente gestuale e dichiaratamente graffitistico, in più d’un caso con un colorismo acceso le cui predominanti – il rosso, il giallo – si fanno carico d’una incalzante cinetica affettiva (nella quale si riflette lo stato d’animo dell’autore), meno frequentemente con un rigore coloristico in cui prevale il contrasto binario fra bianchi neri, in altre opere attingendo ad una fisiognomica dall’incisiva espressività (ove è palese il serrato confronto con l’irrinunciabile matrice ispanica) o attuando un continuo gioco di rimandi all’operato dei suoi sodali e colleghi (come nel caso della citazione della testa del Don Chisciotte dormiente dell’amico scultore Alberto Amodeo o attraverso gli innesti e le ibridazioni pittoriche della Calabretta), il prevalente Don Chisciotte di Rosario Trapani (insieme a quello numericamente più circoscritto della Calabretta) si configura dunque come un ulteriore e interessante contributo all’evoluzione dell’iconografia relativa all’immortale personaggio di Cervantes, capace di contemperare le più riposte istanze psicologiche e le necessità intrinseche a una matura ricerca di carattere artistico ed estetico.
Tutto ciò a conferma – qualora ve ne fosse ancora bisogno – dell’inconsunta validità e dell’assoluta attualità degli spunti letterari quali inneschi dei processi ispirativi ed ideativi nell’ambito delle arti visuali e in esibito e programmatico contrasto con gli orientamenti maggiormente in voga nel nostro contesto storico, fin troppo tendenti a privilegiare la fonte mediatica – e quindi il bombardamento ininterrotto di immagini che funge da ipnotico e frastornante rumore di fondo – quale unico, possibile e plausibile ambito di riflessione e ispirazione per chi sia dedito ad articolati processi di elaborazione narrativo-visuale.

 

Salvo Ferlito

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