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LIBRERIA "UNIVERSITAS"
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Corso Tukory, 140 - Palermo
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Confrontarsi
con un topos dell’immaginario collettivo – quale è il Don
Chisciotte di Cervantes – costituisce, per qualsiasi artista
dedito alle arti visive, non solo un cimento problematico e
assai arduo, ma addirittura un vero e proprio sconfinamento
in un pericolosissimo campo minato.
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Basti qui
ricordare – per fare qualche esempio illuminante – che su
questo personaggio fondante e costitutivo d’una intera e
articolata “visione del mondo” – il “donchisciottismo”, per
l’appunto, che è divenuto, nei secoli, un autentico sistema
categoriale e modello referente, in grado di fungere da
principio guida per tutto un modo di concepire l’essere ed
esistere – si sono espressi sommi artisti quali il Dorè
(autore d’un possente apparato iconografico preposto ad
illustrare il testo di Cervantes) o Pablo Picasso (capace
d’un puro distillato di “hispanidad”) o – più di recente e
in ambito cinematografico – l’altrettanto grande Orson
Welles (artefice d’una serie di dissertazioni mai condotte
però, com’era nel suo stile, a pieno compimento) o ancora –
per fare dei riferimenti a noi ben più vicini – i nostri
Bruno Caruso e Nicolò D’Alessandro (che proprio in ambito
grafico hanno saputo apportare un ulteriore e significativo
contributo alla riflessione operata su tale monumento della
narrativa).
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Tuttavia (e
ciò non di meno) un siffatto corpus visuale – ormai eletto
al rango di autentica e indiscussa tradizione – non ha
intimorito più di tanto Rosario Trapani e Giovanna
Calabretta, i quali si sono avventurati, senza alcun timore
reverenziale e con sentita partecipazione psico-affettiva,
sul terreno della traduzione visiva del personalissimo
rapporto intrattenuto con Cervantes e col suo “prototipico”
anti-eroe, riuscendo a pervenire ad un insieme di immagini
di forte impatto ottico e di alta termica emotiva.
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Più gestuale e
subitaneo Trapani – ma non per questo meno empatico ed
attento nell’approccio al personaggio –, più pausata e
misurata Calabretta – senza che ciò implichi alcuna
inibizione o mancanza di spontaneità –, i due pittori (ormai
cooperanti a tempo pieno) sono riusciti a dare forma e
contenuto al “loro” Don Chisciotte, fornendo un ampio
corollario di varianti e sfumature tutt’altro che banali o
ripetitive.
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Percepito e
vissuto non come mera evoluzione (o involuzione)
caricaturale dell’eroe cavalleresco (di Lancillotto o
Orlando, per intendersi), e quindi come rovesciamento di
quest’ultimo nel suo “giullaresco” opposto speculare (con
una inversione dell’alto verso il basso), ma quale palese
incarnazione d’una energia ideativa e operativa che nel
travalicamento del reale trova la sua dimensione più congrua
e suggestiva, il Don Chisciotte di Trapani e Calabretta si
configura – per tanto – come compiuta rappresentazione delle
loro individuali proiezioni ermeneutiche e soprattutto come
obbligata risposta soggettiva (riverberata sullo stralunato
hidalgo) alle proprie incoercibili esigenze di “fuga dal
contesto”.
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L’evidente
“mortificazione delle intelligenze” che l’attuale stato
delle cose induce negli uomini (e maxime negli artisti)
forniti di maggiori doti simpatetiche e intuitive – non meno
di quanto sicuramente accadeva ai tempi di Cervantes –
spiega ampiamente il motivo d’una scelta – quella del Don
Chisciotte – che risponde senza dubbio a impellenze
personali, ancor prima che a presupposti di natura
prettamente estetica o di ricerca e sperimentazione
tecnico-linguistica.
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L’adozione
d’un tal soggetto non è dunque il semplice pretesto da cui
muovere verso esplorazioni o avventure di tipo lessicale, ma
piuttosto è l’espressione di bisogni assai profondi, della
cui esplicitazione le scelte di linguaggio non sono che una
debita e inevitabile funzione.
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Non è un
caso, per tanto, che i moduli espressivi adottati dai due
autori si rivelino non del tutto univoci – benché
riconducibili a ben chiari referenti – e che le molteplici
declinazioni visuali poste in essere appaiano anche difformi
e variegate nei loro peculiari andamenti di carattere
esteriore.
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Se in Giovanna
Calabretta pare prevalere un più circoscritto rapporto con
la tradizione – ravvisabile nel “classico” impianto
ritrattistico del busto di Don Chisciotte, nonché nella
piccola ed eterea sculturina in fil di ferro che quasi
sembra un tratteggio fatto a penna –, in Rosario Trapani
(autore della maggior copia di opere in esposizione),
viceversa, la relazione coi modelli di riferimento del
passato più prossimo e remoto si profila con connotati ben
più tumultuosi e marcatamente dialettici – come rivelato
dalle svariate e non omogenee descrizioni dell’attempato
hidalgo –, sì da condurre ad una caleidoscopica molteplicità
di esiti visivi.
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Talora
delineato con una sintesi formale di scarna estremità,
talaltra ricorrendo a un tratteggio fortemente gestuale e
dichiaratamente graffitistico, in più d’un caso con un
colorismo acceso le cui predominanti – il rosso, il giallo –
si fanno carico d’una incalzante cinetica affettiva (nella
quale si riflette lo stato d’animo dell’autore), meno
frequentemente con un rigore coloristico in cui prevale il
contrasto binario fra bianchi neri, in altre opere
attingendo ad una fisiognomica dall’incisiva espressività
(ove è palese il serrato confronto con l’irrinunciabile
matrice ispanica) o attuando un continuo gioco di rimandi
all’operato dei suoi sodali e colleghi (come nel caso della
citazione della testa del Don Chisciotte dormiente
dell’amico scultore Alberto Amodeo o attraverso gli innesti
e le ibridazioni pittoriche della Calabretta), il prevalente
Don Chisciotte di Rosario Trapani (insieme a quello
numericamente più circoscritto della Calabretta) si
configura dunque come un ulteriore e interessante contributo
all’evoluzione dell’iconografia relativa all’immortale
personaggio di Cervantes, capace di contemperare le più
riposte istanze psicologiche e le necessità intrinseche a
una matura ricerca di carattere artistico ed estetico.
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Tutto ciò a
conferma – qualora ve ne fosse ancora bisogno –
dell’inconsunta validità e dell’assoluta attualità degli
spunti letterari quali inneschi dei processi ispirativi ed
ideativi nell’ambito delle arti visuali e in esibito e
programmatico contrasto con gli orientamenti maggiormente in
voga nel nostro contesto storico, fin troppo tendenti a
privilegiare la fonte mediatica – e quindi il bombardamento
ininterrotto di immagini che funge da ipnotico e
frastornante rumore di fondo – quale unico, possibile e
plausibile ambito di riflessione e ispirazione per chi sia
dedito ad articolati processi di elaborazione
narrativo-visuale.
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