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- Galleria
XXS apertoalcontemporaneo
- Via XX
Settembre 13
- Palermo
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- L’ARMONIOSA
PANORAMICA
- Alla galleria XXS di Palermo la Piccola
antologica del fotografo Alessandro Di Giugno
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- Immagini
apparentemente slegate, magari pure contraddittorie, e
tuttavia tenacemente connesse fra di loro da un filo
logico e linguistico che ne fa tessere d’un articolato
mosaico coerentemente composto in un unico insieme
stilistico e narrativo.
- Un
giovane surrealmente mascherato da elefante; degli alberi
solitari plasticamente evidenziati da un sapiente gioco
chiaroscurale; i componenti di una congrega che esibiscono
con inusitata fierezza i simboli della loro appartenenza;
tutti scatti a prima vista scollegati – se osservati con
superficiale approccio ed incongrua chiave di lettura –,
tappe di un percorso artistico che parrebbe all’insegna
della casualità e della estemporaneità; e ciò non di
meno – a ben vedere – null’altro che capitoli
d’una unica e coerente narrazione, ove la peculiare
ricerca d’una percepibile omogeneità estetica fa da
legante e filo conduttore all’acuta disamina di quanto
alberga nella dimensione esistenziale, sociale ed
ambientale della contemporaneità.
- E’
vero che nello “statuto” del fotografare vi è
l’incontro casuale col soggetto imperdibile,
l’incrocio improvviso col luogo e con l’attimo ideali,
l’intuizione immediata del potenziale narrativo insito
in un volto, un corpo od un contesto; ma è altrettanto
vero che la fotografia è anche “progettazione”,
capacità di “costruire” una inquadratura partendo da
una “visione preesistente”, ricerca ostinata
dell’appropriato “qui ed ora”; e tutto ciò sin
dagli albori di questa disciplina artistica – quando la
palese filiazione delle foto dai modelli della pittura
portava ad una decisa pianificazione d’ogni scatto – e
in fondo non meno al giorno d’oggi, in un tempo in cui
la manipolazione digitale delle immagini è ormai una
prassi consueta e sistematica.
- L’operare
di Alessandro – che non a caso è fotografo colto e
intelligente – annovera entrambe le suddette
impostazioni: cercare i soggetti più appropriati senza
escludere l’ausilio di una alea imperscrutabile e al
contempo inserirli in una trama visuale ampiamente
cogitata a priori.
L’individuazione – apparentemente fortuita – di
spunti tematici dai connotati surreali si accompagna così
alla meticolosa attenzione per gli assetti compositivi, al
frequente ricorso a raffinati effetti di chiaroscuro, alla
scelta di accostamenti cromatici equilibrati ed eleganti,
alla predilezione per una struttura fabulatoria dai toni
ineffabili e paradossali, testimoniando d’un modus
operandi in grado di integrare l’improvvisa e
inattesa ispirazione con un impianto visivo assai pausato
e meditato che mai possa prescindere dalla voluta
“costruzione” d’ognuna delle foto. Il tipico
incedere da fotoreporter (in termini di mero assorbimento
di quanto cade più o meno accidentalmente sotto
l’obiettivo) si coniuga pertanto con l’ostinata
ricerca dell’inquadratura ideale, operata attraverso un
certosino processo di edificazione nel quale convogliare
un immaginario affinato alla luce d’una profonda cultura
visuale.
- Questa
abituale e consolidata impostazione spiega il perché
l’andamento diacronico del fotografare di Alessandro –
la cui ricostruzione è alla base di questa “piccola”
mostra di carattere antologico – non presenti mai
stacchi evidenti o brusche soluzioni di continuità, ma
tenda piuttosto ad amalgamarsi in una sorta di
“armoniosa panoramica”, ove le immagini paiono
comporsi chiaramente in un insieme
del tutto sincronico e coerente.
- Ne
consegue che uno scatto di quindici anni fa possa essere
accostato in tranquillità ad uno più recente, e questo
senza che si apprezzi alcuna visibile cesura o incoerenza
estetico-linguistica; piuttosto quella cui si assiste è
una riuscita “polifonia visuale”, nella quale si
avverte come un senso straniante di assoluta atemporalità;
un raccontare (e in fondo un raccontarsi) nel quale non si
nota un classico procedere per tappe sequenziali – ove
ognuna è obbligata premessa (crono)logica della
successiva – ma in cui ciascuna immagine è parte
integrante d’un compiuto “ensemble”,
sottraendosi del tutto ad ogni stringente distinzione fra ante e post.
- La
“simultaneità visuale” – dunque – è ciò che
rende peculiare il lavoro fotografico di Di Giugno;
nessuna parvente incongruenza o brusco salto – pertanto
– fra la foto di un incombente peschereccio e quella di
un totemico cactus, né – tanto meno – fra
l’inquadratura di un gruppo di medici atteggiati come i
componenti di una corporazione olandese del ‘600 ed i
surreali ritratti di giovani dotati di ali di cartone
immortalati nell’illusoria attesa d’un libertario volo
verso qualche altrove; la cifra stilistica – infatti –
è sempre chiara e inoppugnabile, e non soltanto – come
detto – dal punto di vista tecnico e formale, quanto
piuttosto nei connotati tendenzialmente metafisici
dell’impianto narrativo.
- E’
il pervasivo potere di fabulazione – in definitiva –
il carattere comune a tutte queste foto; la loro analoga
capacità di irretire l’osservatore, immettendolo in un
mondo “altro”; il loro eguale “magnetismo” che
prescinde dai particolari
di quanto messo a fuoco; il loro esser frutto del
meraviglioso artificio che è da sempre alla base delle
arti visuali: e cioè di quell’attitudine – che
appartiene solo ai veri artisti – a tributare valore
estetico e simbolico a qualsiasi oggetto o soggetto,
sottraendolo in tal modo alla transitoria dimensione della
normalità e della banalità per elevarlo – mediante
un’aura suadente ed ineffabile – all’imperituro
rango di opera d’arte.
- La
mostra sarà visibile alla galleria XXS (di via XXS
Settembre 13, Palermo), fino al 22 ottobre 2021, dal
martedì al sabato, dalle 17 alle 19,30e.
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Salvo Ferlito - ottobre 2021
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- Giuseppe
Cuccio
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- “VARIAZIONI
SUL TEMA”, LA GRAFICA “ARBOREA” DELLO SCULTORE
GIUSEPPE CUCCIO
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- La
forma e lo spazio: è attorno a questa obbligata relazione
che ruota l’intero ricercare artistico di Giuseppe
Cuccio.
- Sia
chiaro che non si tratta d’un incedere all’insegna del
rigido (ed anche arido) rigore formalistico; poiché il
comporre e disporre la materia, secondo ben precisi
andamenti volumetrici, non implica necessariamente il mero
perseguimento di astratte purità di carattere geometrico
o di tipo funzionale.
- Beppe
Cuccio non è infatti un
designer – con tutto il rispetto per la categoria
– che cerca un ottimale equilibrio fra morfologia,
estetica e utilizzo; egli è invece uno scultore che
persegue l’obiettivo di dar corpo ed evidenza plastica
alle idee, facendo delle forme non dei semplici fini cui
pervenire visivamente ma degli appropriati mezzi coi quali
veicolare congruamente la propria “visione” del mondo
con tutte le corrispettive sfumature di carattere
emozionale ed affettivo.
- E
ciò non solo – come prevedibile – col diretto
“corpo a corpo” con la materia bruta (argilla, gesso,
pietra varia) al fine di conferire o liberare –
michelangiolescamente – la “morfhé”
ad essa intrinseca, ma anche – e soprattutto – con la
premessa “cogitativa e progettuale” dello strumento
grafico, ovvero di quel procedere ideativo della grafite
sulla carta che consente di intuire “a
priori” – svelandolo – quanto si asconde nei
materiali grezzi.
- Non
sorprenda dunque questa selezione di opere grafiche del
nostro Beppe, poiché essa rappresenta l’espressione
palese di quel corretto modo di “riflettere” sulle
cose (e sul loro stato) che è – ed è sempre stata –
la prassi ineludibile nell’agire d’ogni artista
visuale realmente dotato di vis
immaginifica.
- Sono
gli alberi – nello specifico – i soggetti eletti ad
ideale medium visivo col quale condurre attentamente
un’appropriata “speculazione” linguistica ed
estetica; gli alberi, con la loro elegante silhouette,
in una ricerca coerente e rigorosa di moduli “formali”
preposti non tanto a descrivere il dato di natura in
maniera dettagliata, quanto a raccontare l’intima
relazione fra l’autore e il mondo naturale.
- Nessuna
acribia veristica o approccio fotografico, pertanto, nella
grafica di Cuccio, viceversa un lessico assai sintetico
– seppur figurativo – improntato allo sfrondamento
d’ogni orpello estetizzante ed all’enucleazione – da
vero scultore – dell’essenza “panica” che anima i
soggetti. Il gioco di chiari e scuri – particolarmente
evidente nelle opere a solo carboncino – ma anche
l’articolarsi delle cromie sull’intonso candore della
carta – ora minimale ed euritmico, ora più
caleidoscopicamente polifonico – si rivelano di fatto
estremamente funzionali all’estrapolazione di quel senso
di ineffabile mistero che permea nel profondo la natura,
coinvolgendo così l’osservatore in brevi ed incisive
narrazioni in grado di irretire e inquietare con marcata
intensità.
- “Variazioni
sul tema” quasi aforistiche – queste carte di tema
arboreo – ma dall’eloquio fortemente penetrante;
immagini ricche di significato nel loro compiuto
equilibrio di forma e contenuto.
- Le
opere di Giuseppe Cuccio potranno essere viste alla
Galleria XXS aperto al contemporaneo di Palermo (via XX
Settembre 13), dalle 17 alle 20, solo su prenotazione
telefonando ai numeri 3939356196 – 3475511895.
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Salvo Ferlito - novembre 2020
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- Enzo
Romeo
- LE
VISIONARIE FANTASMAGORIE DI ENZO ROMEO
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- A
sette anni di distanza dall’ultima mostra personale
palermitana (allestita nel 2013 proprio alla galleria
XXS apertoalcontemporaneo), una nuova esposizione di
dipinti di Enzo Romeo sarà visibile fino
al 12 marzo negli stessi spazi di via XX Settembre 13.
- Una
serie di opere di recente realizzazione, che confermano la
statura artistica di uno dei pittori più rappresentativi
non solo della scena trapanese ma dell’intero panorama
visuale siciliano.
- Attivo
sin dai primi anni ’60, protagonista di decine di mostre
personali sia in Sicilia che nel resto del paese (Roma,
Firenze, Milano, Imperia) nonché partecipe ad innumerevoli
e qualitative mostre collettive, Enzo Romeo prosegue ormai
da anni nel suo inesausto percorso di ricerca e
sperimentazione con una encomiabile coerenza stilistica che
però non incorre mai nel vizio della ripetitività e che
piuttosto appare sostenuta da una inesauribile ed intonsa verve ideativa.
- Il
ricorrere nelle sue tele di campiture articolate su una
misurata gamma cromatica (ove predominano le oscillazioni
tonali fra il bianco e il grigio ed i contenuti lacerti
di nero e blu-violetto), l’improvviso e nevrile inserto di
schegge ipercromiche (rosse e gialle soprattutto), il
tratteggio sintetico e guizzante (ma sempre risoluto nella
sua compiuta allusività figurativa) testimoniano infatti
d’una poetica sentitamente visionaria, capace di
trasfigurare il mero dato di natura in un intenso
precipitato visivo, sedimentato per sublimazione delle
immagini attraverso il filtro capillare d’una matura e
rilevante soggettività.
- Lontano
da suggestioni superficialmente “mediterranee”, del
tutto estraneo ad obblighi di “verismo manierato”,
decisamente orientato – piuttosto – verso moduli di
ricerca linguistica che prevedono il sapiente embricarsi di
astratto e figurato, Enzo Romeo va quindi annoverato fra
quegli artisti insulari che hanno saputo adeguarsi alle
pressanti istanze della contemporaneità, procedendo
coraggiosamente nel senso del superamento delle gore e delle
convenzioni della tradizione autoctona, senza che ciò abbia
però mai implicato il rinnegamento della piena e classica
centralità della pittura. Pittura intesa non come sterile
esercizio virtuosistico o come semplice mezzo col quale
acquistare uno spazio di mercato, ma come acuto strumento
d’espressione grazie al quale disvelare quell’intimo
universo affettivo, coltivato nella pausata interrelazione
col contesto naturale (e sociale) circostante.
- La
mostra potrà
essere vista alla
galleria XXS apertoalcontemporaneo di Palermo (via XX
Settembre 13) dal
martedì al sabato, dalle
17 alle 19,30.
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- Salvo
Ferlito - Febbraio 2020
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- Roberto
Fontana
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- ESERCIZI
DI
NORMALITA'
- Nei
dipinti di Roberto Fontana la cruda analisi per
immagini
- della
perturbata condizione esistenziale dell’uomo
contemporaneo
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- Corporeità
svilite e dolenti, a esemplare la condizione
“border-line” cui è relegato chi non riesce ad
adeguarsi ai canoni d’una coatta normalità.
- Sono
questi i soggetti prediletti da Roberto
Fontana, raffigurati – con notevole coerenza tematica
e stilistica – anche in quest’ultima sequenza di
dipinti, esposta alla galleria XXS aperto al contemporaneo a partire dal 24 ottobre.
- Individualità
profondamente mortificate e destabilizzate
dalla “pressione” esercitata dal contesto circostante; equilibri
psiche-soma fortemente perturbati, che il pittore
palermitano ha saputo analizzare e tradurre visualmente con
quel tipico approccio impietoso – senza filtri o remore di
sorta – che ne contraddistingue da sempre
l’inconfondibile cifra artistica ed estetica.
- Forte
di un linguaggio impregnato di venature espressioniste (in
cui si mescolano le suggestioni “nordiche” mutuate da
Nolde, Kirchner e Munch insieme agli spunti offerti dal
beneamato Bacon ed ai diretti insegnamenti del dionisiaco
azionista Hemann Nitsch) ma anche di proficue indicazioni
provenienti dalla più attuale street art, Fontana ha dunque
impaginato un
impressionante “casellario” di singole tipologie di
disagio e di squilibrio psico-corporale, non limitandosi
ad una semplice elencazione di natura puramente
“tassonomica”, ma procedendo nel senso dell’acuto
approfondimento d’ogni caso esaminato, ai fini della piena
comprensione delle cinetiche destabilizzanti di cui è preda
l’intero corpo sociale per effetto della
“normalizzatrice” volontà di controllo esercitata dalla
classe dirigente.
- L’inevitabile
alienazione dal contesto e l’irreversibile scivolamento
verso la disidentità
costituiscono pertanto – nella cruda riflessione per
immagini condotta
da Fontana – il logico e consequenziale punto di arrivo
per chi non voglia o non sappia assoggettarsi agli intenti
ed ai dettami di tutti quei
registi – più o meno occulti – che tendono ad
orientare e condizionare i comportamenti dei singoli e dei
gruppi. A fronte d’una così insistita pressione
omologante esercitata dal contesto, in assenza di volontà o
capacità di assimilarsi, lo scivolamento verso una
dimensione separata di solipsismo – in cui il contrasto
ormai insanabile fra immagine esteriore e personalità si
risolve in termini di acuta sofferenza corporale – si pone
al contempo come fuga da un giogo insostenibile e anche come
esibita reazione nei confronti d’una inaccettabile realtà.
E’ proprio questa
condizione ibrida,
di vittima sacrificale (ostracizzata fino alla
marginalità e alla morte) e
di oppositore consapevole (che fa della rinuncia
all’omologazione una critica al sistema), ad essere
rappresentata senza infingimenti e con veemente congruenza,
spingendo gli osservatori a “prender posizione”
attraverso una lettura intensamente simpatetica. Una
identificazione emozionale ed affettiva con questi esemplari
di umanità dolente – quella indotta da Roberto Fontana
con la sua pittura – che non punta a suscitare un semplice
coinvolgimento interiore dalle finalità catartiche, ma che
mira all’induzione di una più ampia riflessione di
carattere socio-politico, con l’auspicio della piena presa
di coscienza delle perverse e distorte logiche di cui è
preda l’intera società.
- La
mostra potrà essere vista fino
al 7 novembre
2015, dal martedì al sabato, dalle 17 alle 20.
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- Salvo
Ferlito -Novembre 2015
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NOCTURNA
INSULA
Vedute e paesaggi notturni siciliani
Mostra collettiva di grafica, pittura e scultura |
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Quindici dissertazioni sui temi del paesaggio e della veduta insulari. Quindici riflessioni di ambientazione notturna, condotte nel ristretto perimetro del piccolo formato.
Nocturna insula è una collettiva di grafica, pittura e scultura finalizzata all’analisi e allo scandaglio di quel senso di panico mistero e di quelle sospese atmosfere che paiono avvolgere il mondo naturale e i contesti urbani della Sicilia al calar dell’oscurità della notte.
Abituati alle epifanie cromatiche e ai barbagli luminosi di tanta produzione paesaggistica e vedutistica isolana, assai di rado ci è data l’occasione di confrontarci con opere d’arte che abbiano nella dimensione tenebrosa il proprio innesco visuale e il prioritario fulcro narrativo. Ribaltando il consueto approccio "diurno", tutto basato sull’esaltazione e sull’estroflessione dell’asprezza naturale e dell’imponenza architettonica, Nocturna Insula mira dunque a porre in evidenza quegli aspetti più riposti e quelle componenti più occulte che si celano dietro un sembiante generalmente improntato ad un eccesso di esuberanza e
mediterraneità.
Figurazione classica e fughe informali, senso del pathos e giocosa levità, lirismo ermetico e vis affabulatoria si alternano nelle quindici opere in esposizione, offrendo agli osservatori un’articolata e multiforme sequenza di punti di vista e narrazioni, in grado di innescare dei meccanismi simpatetici di intensa tensione emozionale ed affettiva. Tecniche disparate (dal disegno all’incisione, dalla pittura ad olio all’acrilico, dal pastello alla ceramica) e linguaggi differenti (dall’acribia calligrafica a una maggior sintesi figurale, dai progressivi sconfinamenti verso l’informale fino alla più pura astrazione) si fanno dunque strumento d’una sentita esigenza di rinnovamento del consuetudinario approccio ai temi del paesaggio e della veduta insulari, consentendo così di procedere oltre le gore d’un verismo e d’un naturalismo ormai stantii e stiracchiati e di pervenire a un più attuale sentimento paesaggistico e vedutistico. Non si tratta, quindi, di porre in essere tentativi più o meno virtuosistici di mimesi del mondo naturale o dell’opera dell’uomo, quanto di advenire a delle forme simboliche di rappresentazione che consentano di enucleare e restituire visualmente tutti quei fremiti, quelle tensioni, quelle energie, quelle inquietudini che sono albergati nel profondo dei contesti naturali e sociali della nostra isola. In tal senso, le atmosfere notturne fungono da ideale cassa di risonanza, favorendo – al di là dei moduli espressivi adottati e del tono più o meno elegiaco o divertito dell’eloquio – la distillazione e il sedimentarsi di umori ed impressioni, di incanti e disincanti, di ossessioni e vagheggiamenti, in una "depurazione progressiva " del dato percettivo capace di restituire – seppur ineffabilmente – quel "mood oscuro" sotteso all’esteriorità.
Artefici di questa singolare trattazione sono Rosario Amato, Marta Cannizzaro, Salvatore Caputo, Aurelio Caruso, Angelo Denaro, Giuseppe Fell, Manlio Giannici, Anna Kennel, Mario Lo Coco, Paolo Madonia, Daniele Messineo, Vincenzo Nucci, Enzo Romeo, Tino Signorini, Bice Triolo.
La mostra, allestita alla galleria XXS aperto al contemporaneo (di via XX Settembre 13, Palermo), sarà visibile dal 20 novembre al 6 dicembre, dal lunedì al sabato, dalle 17 alle 20.
Salvo Ferlito - novembre 2014
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- VOCI
DELL’OLTRE
- Alla
galleria XXS aperto al contemporaneo di via XX Settembre
13 (PA), dal 16 al 31 ottobre 2014, l’interessante
personale del giovane artista bagherese Giuseppe Alletto,
artefice di una inusuale ritrattistica di forte impianto
fisiognomico.
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- Non
semplici ritratti, ma evocazioni. Autentiche
evocazioni in grado di dare
forma visuale a quell’esprit – o ancor meglio a quel daimon –
che ha animato nel profondo i dodici personaggi prescelti ed
effigiati.
- Forte
d’una non comune padronanza dell’arte fisiognomica e
fornito di qualitative doti grafiche, Giuseppe
Alletto – giovane, ma già
valente artista bagherese – ha infatti saputo realizzare
una personale galleria di “beneamati” (letterati e
pittori, protagonisti delle arti degli ultimi due secoli),
non limitandosi al semplice rispetto del puro dato di
natura, ma mirando apertamente all’accurata enucleazione
dei più intimi e riposti connotati della psiche. Una vera e
propria attività di scavo – quella portata avanti da
Giuseppe Alletto – che, procedendo dallo spunto
fotografico (eletto a congruo innesco dell’ideare e fare
artistici), per via di segni e di tratteggi, ha consentito
il sedimentarsi sulle carte di inattese e inquietanti
fisionomie, atte a rappresentare quell’Io profondo che è
(o dovrebbe essere) il carattere saliente dei ritratti ben
riusciti.
- Agendo
di grafite e carboncino (le
“armi” predilette dal nostro artista), grazie ad un
tratto dall’incisività forte ed assertiva (che nelle
opere più recenti, Beckett e Céline, raggiunge esiti
di scarificazione) e in virtù d’un contestuale gioco di
avvolgimenti atmosferici e di sapienti sfumature (capace di
temperare e bilanciare la “vis grafica” e al contempo di
determinare un peculiare effetto visivo di tipo “ectoplasmatico-spiritico”),
l’artista bagherese è dunque riuscito a dare consistenza
visuale a un immaginario ritrattistico che non risponde
strettamente a obblighi di mimesi (benché altamente
realistico nei suoi raggiungimenti), ma che piuttosto
rappresenta congruamente quell’idea degli effigiati da
egli maturata nell’ambito del personale processo di
introiezione del loro operato di pittori e letterati. Una
sorta di disvelamento del vero volto – nel
rispetto di quello schema che prevede una facies intima
occultata dalla maschera sociale – che va ben al di là
degli aspetti encomiastici di tanta ritrattistica dei secoli
passati e che tuttavia rifugge ampiamente da modalità
caricaturali (e ciò, nonostante lo stravolgimento mortuario
cui non di rado è soggetta la mimica di questi personaggi),
consegnando agli osservatori un
distillato “negromantico” (trattandosi
di trapassati) di umori e inclinazioni.
- L’acume
quasi luciferino di Leonardo
Sciascia, il sardonico sarcasmo di de
Chirico, l’atteggiamento ben più
assorto di Guttuso,
la destabilizzante aggressività di Beckett e
l’impietosa ferocia di Céline,
la visionarietà psicotropa di Baudelaire e
la lontananza pensierosa di Pirandello –
per citare alcuni dei ritratti più riusciti – danno
dunque la misura d’una inconfondibile cifra stilistica, in
cui le note
“gotiche”, o
ancor più “macabre”, sono
il connotato prediletto e dominante. Un carattere – quello dell’espressività
forte ed impattante – che
avvicina Giuseppe Alletto (come molti altri giovani della
sua generazione) a certi sviluppi assai recenti dell’arte
fumettistica (per esempio all’opera del grandissimo Alberto
Breccia, autore del memorabile e
funereo Mort Cinder),
a dimostrazione di come il pieno ossequio al verbo
figurativo non costituisca di per sé una scelta di
retroguardia, non potendo mai prescindere dalle molteplici
ricerche e sperimentazioni figurali in atto nella più
stretta contemporaneità.
- Un
modus operandi – questo di
Alletto – che ci consegna un artista al contempo “classico” e “innovativo”, capace
di dedicarsi a un’arte “antica”, come quella del
ritratto (e per di più a grafite e carboncino),
rinverdendola con moduli certamente ancora in fieri
(destinati quindi ad ulteriore affinamento e maturazione),
ma già altamente compiuti nella loro penetrante (e in
qualche caso anche sconvolgente) intensità.
- La
mostra sarà visibile alla galleria
XXS aperto al contemporaneo di
via XX Settembre 13 (Palermo) dal
16 al 31 ottobre; dal Martedì al Sabato,
dalle 17 alle 20.
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- Salvo
Ferlito - ottobre 2014
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Un
articolato “casellario umano”, quello
proposto da Renato Tosini alla galleria XXS
aperto al contemporaneo, in grado di
veicolare la stessa salace e misantropa
anti-utopia con modalità grafico-narrative
sempre sorprendenti e diversificate.
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Quattordici
disegni di grandi dimensioni (cm 70x100), realizzati da
Renato Tosini fra il 2005 ed il 2012. Quattordici opere
finemente tratteggiate a carboncino e gessetti, che
costituiscono una selezione assai rappresentativa
dell’ideare e agire artistici del grande pittore palermitano
e che quindi possono a buon diritto essere considerate una
efficace “summa” del suo operato pluridecennale.
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Non si tratta di semplici
schizzi o di bozzetti finalizzati a successivi e più
completi esiti pittorici (Tosini, purtroppo, non dipinge più
da qualche anno e comunque predilige le pagine dei beneamati
“moleskine” quale ottimale supporto per pensieri e sfoghi in
libertà), ma di opere pienamente compiute e concluse in ogni
dettaglio tecnico e linguistico, in grado di incarnare e
veicolare a perfezione la sua peculiare e inconfondibile
cifra stilistica. Sono infatti i suoi ormai tipici
personaggi (i caratteristici “borghesi” calvi e corpulenti)
ad animare gran parte di queste carte in esposizione,
facendosi carico – ancora una volta – della salace critica
che da sempre egli muove al mondo circostante. Essi non sono
più i protagonisti delle grandi narrazioni per immagini che
hanno caratterizzato i precedenti quadri ad olio – Tosini si
è sempre definito uno “scrittore di dipinti” –, ma piuttosto
dei soggetti monologanti in una concisa e disadorna trama da
racconto breve o da acuto e fulminante aforisma. E ciò senza
alcuna perdita di intensità visuale o di efficacia
narrativa; anzi, la penetranza del segno grafico e la
stringatezza dell’eloquio rafforzano vieppiù l’acidità
urticante dell’invettiva, facendo di questi splendidi
disegni un distillato del disprezzo maturato negli anni
dall’autore per i vizi e i vezzi della società
contemporanea.
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L’ironia graffiante e
pungente – ormai divenuta duro sarcasmo – non lascia più
alcuno spazio a quelle componenti di incanto fanciullesco
che punteggiavano la pittura precedente. Ora prevale
nettamente un linguaggio figurativo ove gli abituali
connotati tardo-espressionisti e neo-oggettivi
(riconducibili agli exempla teutonici di Beckmann,
Dix e Grosz), seppur leggermente mitigati negli
aspetti più aspri e crudi, si fanno esclusiva funzione d’una
analisi lucida e impietosa delle innumerevoli miserie di cui
è intrisa la natura umana. Un raffinato “pessimismo della
ragione” – quello consegnatoci da Tosini con questo suo
ultimo casellario umano – che non dà adito a speranze o
indulgenze; una sequenza di impareggiabili “esercizi
di stile”, in grado di raccontare la stessa e
personalissima anti-utopia con un modulo espressivo (il
solito e inconfondibile “tipo borghese”, caratteristicamente
calvo e corpulento) eternamente uguale a sé e tuttavia
continuamente rinnovato. Una radicata sfiducia nei confronti
dell’uomo – e in particolare dell’uomo di potere – che
Renato Tosini ripropone ogni volta con sfumature
sorprendenti ed inattese, offrendoci prospettive sempre
diverse (e mai ovvie) con cui guardare nel profondo la
nostra miserabile realtà.
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La mostra Esercizi di
stile integra e completa l’esposizione di dipinti di
Tosini – Ritratto di artista come sonnambulo –
attualmente in corso (fino al 25 aprile) alla Galleria
Francesco Pantaleone Arte Contemporanea (via Vittorio
Emanuele 303, Palermo) e potrà essere vista alla Galleria
XXS aperto al contemporaneo (via XX Settembre 13, Palermo)
fino al 22 marzo, dal martedì al sabato, dalle
17 alle 20.
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La mostra si avvale anche
del gentile contributo di Pucci Giuffrida delle cantine
Al-Cantara di Randazzo.
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Salvo Ferlito (marzo
2014)
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MARIO LO COCO
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LA TERRA E I
COLORI
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Una
equilibrata ed armonica interazione fra
scultura, grafica e pittura, nei perimetri
della raffinata arte ceramica di Mario Lo
Coco. In esposizione dal 14 al 28 novembre
2013 alla galleria XXS aperto al
contemporaneo di via XX Settembre 13.
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Una sintesi
perfetta di volume e di colore. E’
questo il connotato saliente e distintivo delle
raffinate ceramiche plasticate da Mario Lo Coco,
artista di notevole inventiva e non comune
manualità,
capace di trasformare l’informe
materia argillosa in opere di indiscusso pregio
estetico.
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Arte antica,
quella ceramica, da annoverare senza dubbio (al
pari della pittura e della scultura) fra le
prime manifestazioni artistiche dell’umanità;
e tuttavia troppo spesso negletta e ancor oggi
sottovalutata, sì
da venir relegata, con una certa sufficienza,
nell’ambito
(a torto ritenuto subalterno e ancillare) delle
arti cosiddette minori o decorative. Una
distinzione, quella fra arti maggiori (grafica,
pittura e scultura) ed arti minori (tutte le
altre genericamente classificate fra le
discipline dell’artigianato
artistico), assolutamente fittizia e
inappropriata, come del resto dimostrano i tanti
movimenti (uno per tutti l’Arts
and Crafts influenzato dalle teorie di William
Morris) che della loro piena equiparazione si
sono fatti programmaticamente artefici e
promotori. A quale categoria, infatti, ascrivere
assoluti capolavori quali i vasi ellenici di
Eufronio o le splendide statue ceramiche cinesi
della dinastia Tang (per non parlare dell’incredibile
esercito di terracotta sepolto a Xi’an)
oppure gli spettacolari manufatti italiani d’epoca
rinascimentale (primi fra tutti quelli dei Della
Robbia), a quella delle grandi (e vere proprie)
opere d’arte
o semplicemente a quella del pur qualitativo
artigianato artistico? E ancora, per venire ai
nostri giorni, come inquadrare le performances
ceramiche di Picasso e soprattutto di Fontana e
di Leoncillo? Come piene espressioni della loro
migliore e più
rappresentativa produzione artistica o come meri
(e meno significativi) divertissement all’interno
di un più
rilevante percorso di protagonisti delle arti
visuali?
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Domande retoriche,
ovviamente, cui però è
in grado di rispondere con congrua pertinenza
proprio Mario Lo Coco, il quale ha per l’appunto
posto la modellazione e la cottura dell’argilla
colorata al centro dei personali orizzonti
ideativi e gestuali, pervenendo ad esiti
plastico-pittorici di non comune rilevanza
visuale. Quello di Mario, infatti, è
un itinerario che, pur muovendo dalle
determinanti premesse della tradizione figulina
isolana (si pensi ai manufatti
sei-settecenteschi di Burgio, Sciacca, Trapani o
Caltagirone o, più
recentemente, all’operato
del palermitano De Simone), tende tuttavia a
snodarsi lungo direttrici di forte e marcata
innovazione, caratterizzate da un continuo ed
inesausto anelito alla ricerca ed alla
sperimentazione tecnico-linguistiche.
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Non pago di un
lessico visivo di tipo più
classicamente figurale, il nostro Mario ha
voluto, non a caso, esplorare i territori
linguistici dell’astrazione,
optando, da qualche anno a questa parte, per
soluzioni più
caratteristicamente informali, in cui il libero
fluire del colore (vivacizzato da sapienti
misture di pigmenti vetrosi ed inserti di
metallo fra loro ben amalgamati da adeguate
tecniche di cottura) si fa pienamente carico
della esplicitazione di profondi contenuti
emozionali ed affettivi. E tutto ciò,
ovviamente, sempre nell’ambito
d’una
accurata e sapiente manipolazione della materia
prima (l’argilla),
sì
da poter pervenire, come già
detto, ad un armonico equilibrio fra forma e
colore, fra sviluppo volumetrico nello spazio e
caleidoscopico inceder delle cromie. Gli azzurri
acquosi, i rossi incandescenti, i neri
tratteggiati, i gialli solari si compongono così
sulle superfici invetriate, interagendo al
contempo con parti scabre e non dipinte (ove a
padroneggiare è
il tipico rossore spento della terracotta), in
un gioco articolato di squilli e di silenzi, di
aggetti e di incavi, di rientranze e fratture
della struttura cretacea, che allude a una
visione simbolica del mondo naturale, in cui l’elemento
ctonio e quello aereo paiono contendersi lo
spazio in una sorta di continuo (ma equilibrato)
confronto-scontro di forze primordiali. Non è
un caso, quindi, che nelle opere di Mario
ricorra di frequente la forma sferica, quasi a
voler alludere all’orbe
terraqueo e a quell’insieme
di dinamismi naturali, sui quali proiettare
intensamente i più
riposti sussulti della psiche. Un dato, quello
del riferimento allegorico al mondo fisico, che
affiora in maniera sistematica anche nelle
ceramiche dal caratteristico andamento spaziale
più
lineare (le recenti composizioni di elementi
ipercromici che tendono a snodarsi in lunghezza
su lastre diafane di plexiglass), le quali
paiono portare a pieno compimento la completa
integrazione delle varie discipline artistiche
(disegno, pittura e scultura) in un unicum
sintetico e omogeneo di forte e penetrante
impatto visuale.
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E’
dunque questo il grande merito artistico di
Mario Lo Coco, l’aver
raggiunto l’equlibrata
interazione fra le arti “maggiori”
nei perimetri elettivi d’una
disciplina erroneamente considerata “minore”
e “subalterna”.
A inoppugnabile dimostrazione dell’infondatezza
di qualsivoglia gerarchia di valore fra le varie
arti e ad ulteriore conferma della sola
preminenza della vis del pensiero immaginifico
sotteso al gesto artistico.
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La mostra sarà
visibile dal martedì
al sabato, dalle 17 alle 20.
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Salvo Ferlito (novembre
2013)
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- ENZO
ROMEO
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Gli “IMPROVVISI”
pittorici dell’artista trapanese Enzo Romeo in
esposizione alla galleria XXS aperto al contemporaneo
di via XX Settembre da mercoledì 22 maggio a giovedì 6
giugno
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Raffinato colorista,
incline ad orchestrazioni cromatiche di assoluta e
minimale eufonia (ove la predominante impostazione
binaria di campiture nere che incombono sul bianco
calcinato appare d’improvviso squarciata e violata da
contenute ma intense accensioni di rossi, di azzurri, e
meno frequentemente d’altri colori), Enzo Romeo è
artista capace come pochi (quanto meno in terra di
Sicilia) di conferire vis emozionale e calor
affettivo al sapiente e misurato accostamento delle
cromie. Un impianto coloristico-compositivo – quello
prediletto da Romeo – dall’espressività al contempo
pausata ed impellente, in grado di intridere le tele
d’un panico e profondo senso di mistero, che, promanando
come un’aura avvolgente, finisce col circonfondere gli
osservatori del proprio irretente e soggiogante
magnetismo.
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E’ sempre la natura, con
le sue non del tutto perscrutabili dinamiche, a fungere
da fonte ispiratrice e innesco narrativo, e tuttavia,
nella pittura di Romeo, giammai si indulge a mimetismi
esasperati o a descrittivismi di maniera (e questo
nonostante la grande perizia tecnica che gli
consentirebbe esiti formali di virtuosistico
naturalismo), prevalendo nel suo linguaggio la
prediletta inclinazione per l’allusione simbolica e per
il gioco di rimandi, con cui lasciare come in sospeso lo
sviluppo narrativo ed investire così gli osservatori del
ruolo di lettori-scrittori del tutto compartecipi del
racconto visuale.
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La parvenza pausata
delle atmosfere non tragga, dunque, in inganno, poiché
fondata – come accennato – su un sottile equilibrio di
spinte e controspinte coloristiche (fra neri e bianchi),
nelle cui bloccate tensioni trova però sufficiente luogo
l’inserimento epifanico dell’improvviso ipercromico (i
suddetti inserti di bagliori cromatici) e dell’allegoria
segnica (lettere, numeri ed altre fantasmagorie
figurali), in una sintesi lessicale di figurazione ed
informale dagli esiti di assai rara eleganza, i cui
connotati specifici si ergono a peculiare e
inconfondibile cifra estetica e stilistica.
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Mistero e rivelazione,
nascondimento e smascheramento sono pertanto i tratti
salienti della poetica per immagini di Enzo Romeo;
pittore siciliano in grado di rilanciare la forza panica
e l’arcano insondabile della natura insulare, tuttavia
senza mai enfatizzarne gli aspetti più estroflessi e
consueti, ma piuttosto depurando lo sguardo da ottiche
eccessivamente compiaciute ed estetizzanti e soprattutto
liberando il gesto da griglie linguistiche fin troppo
viete e precostituite.
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La mostra, curata da
Salvo Ferlito, sarà visibile fino al 6 giugno, ogni
giorno (tranne i lunedì e i festivi) dalle 17 alle
20.
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Sedici dipinti,
realizzati da Biagio Pancino nella Parigi degli
anni ’50 del secolo trascorso, testimoniano la
temperie artistica e culturale dell’Europa del
secondo dopo-guerra.
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Opere realizzate
fra i primi anni ’50 e i primi anni ’60 del
secolo trascorso, in grado di incarnare a
perfezione lo spirito del proprio tempo. Piccoli
dipinti, eseguiti con svariate tecniche miste,
pervasi non a caso di quelle profonde istanze di
rinnovamento che animarono l’arte europea
all’indomani dell’ultimo conflitto mondiale.
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Improntate ad
una esibita e programmatica volontà di
superamento del linguaggio figurativo, connotate
da un inesausto anelito alla ricerca ed alla
sperimentazione tecnico-linguistiche,
palesemente foriere d’una sentita pulsione
all’accantonamento del localismo estetico in
funzione d’una espressività di sapore più
internazionale, queste sedici pitture di Biagio
Pancino (esposte alla Galleria XXS aperto al
contemporaneo di via XX Settembre 13 dal 4 al 18
aprile) costituiscono pertanto una imperdibile
testimonianza della temperie artistico-culturale
delineatasi in Europa subito dopo la tragedia
della seconda guerra mondiale, e specificamente
di quel radicale e diffuso desiderio di fattiva
renovatio (artistica e socio-politica) di cui
molti intellettuali si fecero allora portatori.
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Non è dunque un
caso, che tali opere siano state dipinte nella
Parigi del secondo dopo-guerra, ove l’artista
veneto (di San Stino di Livenza, in cui è nato
nel 1931), alla pari di tanti altri giovani
europei della sua generazione, si trasferì agli
inizi degli anni ’50, desideroso di immergersi
in prima persona nel flusso tumultuoso di quelle
idee innovative (in ambito filosofico,
cinematografico, visuale e letterario) di cui –
in quel momento – la capitale francese era
attivissima fucina e centro irradiatore. La
diretta conoscenza di alcuni dei grandi maestri
delle avanguardie del primo ‘900 (da Fernand
Léger a Sonia Delaunay e Gino Severini) nonché
la frequentazione di intellettuali e altri
giovani artisti italiani (come Joppolo e
Tancredi, anch’essi presenti a Parigi in quel
momento e destinati ad assurgere a un ruolo di
primo piano nello scenario artistico di quegli
anni) segnano profondamente l’ideare e agire
pittorici di Biagio Pancino, inducendolo ad
abbandonare definitivamente la figurazione (sono
ancora dei primi anni ’50 alcune raffinate chine
dedicate al lavoro operaio, raffiguranti scene
di bonifica ambientate nelle paludi nei pressi
di San Stino), in funzione d’un approccio sempre
più astrattista alla pittura, nel quale
risuonano vibranti e dinamici echi futuristi ma
anche palesi consonanze con gli orientamenti del
lessico informale.
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Da
Donna seduta
(tratteggiato a china e lapis nell’agosto del
1953), in cui le ultime propaggini figurative
vanno scomponendosi in una sequenza di evidenti
unità geometriche, a Dinamismo (dipinto a
tempera sempre nel ’53), ove l’ormai ubiquitaria
scansione geometrica della superficie presenta
dinamiche cadenze ancora tipicamente futuriste,
proseguendo poi con Novembre (eseguito a
gessetti policromi nello stesso anno), nel quale
si assiste ad un rarefarsi ed ammorbidirsi di
segno e di colore, fino alla coppia Ghirigori
e Serial ghirigori (altre due tempere
risalenti al 1958), contraddistinta da un
andamento assolutamente sinuoso delle stesure, e
in ultimo giungendo alla serie Salambò
(ulteriori tre tempere prodotte nel ’60),
pervasa da un incedere acceso e caotico di
vorticose pennellate di colori puri, è dunque
tutto un incalzante susseguirsi di soluzioni
tecniche e moduli espressivi dai connotati
difformi e polimorfi, e tuttavia capaci di
rendere con estrema precisione il processo
evolutivo dell’insistita ricerca condotta
dall’artista veneto nell’arco di un decennio.
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Una rilevante
testimonianza – come già detto – di
significativo valore storico ed artistico,
grazie alla quale poter mappare e definire non
solo le tappe di un percorso strettamente
personale, ma anche – e soprattutto – poter
ricostruire le atmosfere e le tensioni di un
fase di snodo assolutamente cruciale nelle
convulse vicende visuali del secolo appena
trascorso.
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Salvo Ferlito (marzo 2013)
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